Morire di pioggia
e la prevenzione

Morire di pioggia. È accaduto anche ieri a Livorno: vittime, dispersi, un’intera famiglia distrutta, il sacrifico eroico di un nonno. Guardi le immagini al telegiornale e hai un’amara sensazione di deja-vu. Cambia solo il teatro della tragedia e spesso nemmeno quello. È da almeno un ventennio che ad ogni autunno, con l’inizio della stagione delle piogge, arriva la catastrofe. Ancora acqua e fango, ancora fiumi che esondano e città o paesi che si allagano, ancora torrenti impazziti pieni di detriti che travolgono cassonetti, auto, vite umane.

Da quanto tempo abbiamo imparato a conoscere le cosiddette «bombe d’acqua»? Il mare caldo dell’autunno alimenta con vapore acqueo le nubi temporalesche, le quali rilasciano su alcune aree enormi quantità di pioggia in brevissimo tempo creando improvvisi e devastanti nubifragi.

In poche ore, o addirittura in pochi minuti, si concentrano precipitazioni che mediamente coprono l’arco dell’anno. Sono almeno dieci anni che se ne parla. A Livorno la pioggia ha scaricato 250 millimetri in pochi minuti, la stessa quantità di acqua venuta giù nei precedenti otto mesi. Lo stesso è avvenuto in Liguria, «graziata» dal forte Libeccio che ha deviato il grosso delle piogge in mare. E a proposito di Liguria, quante volte abbiamo assistito all’esondazione dei suoi corsi d’acqua?

Ieri è toccato alla città di Livorno, gente caparbia e laboriosa che nulla ha potuto di fronte a quel flagello: morti e dispersi, gente ai piani alti e sui tetti, la corrente elettrica che viene a mancare, i bambini senza scuola, i sommozzatori alla ricerca di altri corpi. E nelle ore successive l’entrata in scena degli angeli del fango, dei volontari con gli stivali e la cerata che raccolgono i cocci di una città in ginocchio, travolta dalla melma e dai detriti. Anche le cause sono sempre le stesse: l’inurbazione selvaggia delle città, la cementificazione che toglie spazio al terreno in grado di assorbire le piogge. L’acqua piovosa infatti non riesce a filtrare nel sottosuolo e finisce per scorrere rovinosamente in superficie. Anche i cambiamenti climatici fanno la loro parte con il ritmo impazzito della stagione delle piogge. E poi, naturalmente, accanto alla speculazione selvaggia dell’uomo, le carenze della classe dirigente: progetti di prevenzione approvati ma mai realizzati, sciatteria nel gestire la manutenzione, mancata cura degli alvei dei fiumi, nessun monitoraggio geo-ambientale. E via così fino alla prossima catastrofe. Non c’è angolo d’Italia che si possa salvare dalle alluvioni, ormai lo sappiamo: ieri abbiamo visto persino il Colosseo, il simbolo universale del nostro Paese, allagato come una piscina. E ancora una volta contiamo i morti, frutto della cattiva gestione del territorio. Il problema è che, come avvertono i geologi, questo genere di disastri ambientali stanno aumentando a livello quasi esponenziale. Siamo solo all’inizio d’autunno, altre alluvioni e frane potrebbero arrivare. Forse è venuto il momento di un grande piano nazionale di coordinamento con gli enti locali per fare prevenzione, anche se questo genere di attività politicamente non frutta in termini elettorali, come abbiamo detto più volte. Il sindaco che ha successo elettorale e viene rivotato al termine del mandato è quello della ricostruzione e dell’organizzazione, non della prevenzione. La lungimiranza non paga in termini di consenso poiché gli elettori vogliono vedere i risultati concreti delle iniziative politiche.

I geologi nei Comuni sono ancora piuttosto rari. Il Consiglio nazionale dei geologi ricorda anche che i sistemi di allarme e di allerta meteorologica alla popolazione sono ancora troppo carenti, nonostante il progresso tecnologico dei sistemi di comunicazione. Forse è venuto il tempo di un Alto Commissariato dedicato alla prevenzione delle catastrofi ambientali, unico modo per uscire dalla palude politica in cui versa l’Italia per prevenire frane, alluvioni, dissesti idrogeologici sempre più frequenti.

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