Nella testa
dei killer di Parigi

Provo a mettermi nella testa di uno di quei giovani che armati di fucili d’assalto hanno ucciso quasi a sangue freddo tanti loro coetanei al Bataclan di Parigi. Non so se ci riuscirò, ma di sicuro so che se non riusciamo a immaginarci cosa possano aver pensato mentre sparavano ai ragazzi del teatro, mentre urlavano, come dice un testimone, «Allah Akbar», non riusciremo a capire nulla di quello che succede intorno a noi. Non si tratta infatti solo di grandi ideologie, di eventi politici e militari di ampia portata, di islamismo estremista o di guerra santa, di questo certamente, ma anche di gesti individuali, personali, e insieme totalmente assoluti e assurdi, gesti che maturano nella testa di persone come noi.

So bene che dicendo così – persone come noi – mi espongo alla riprovazione di chi pensa che gli omicidi sono assolutamente diversi da noi. Ma non è così. Mi conforta che un testimone e uno scrittore come Primo Levi avesse capito già molti decenni fa che gli assassini industriali del lager nazista erano uomini come noi. Ha scritto: appartengono alla nostra stessa razza umana. Qui sta il problema. Non sono troppo diversi da me, anche se io assassino non lo sono. Tuttavia, nonostante questa appartenenza comune, io non so cosa c’è nella loro testa. Come posso immaginarmi cosa pensa un kamikaze che si scaglia con la sua bomba sulla folla pacifica di una città europea o mediorientale, a Parigi come a Tel Aviv? Non è facile. Anzi forse impossibile. Vado per tentativi. Procedo per interposta persona, mi affido a chi prima di me ha provato a fare questo.

Il 20 marzo 1995 cinque adepti di una setta religiosa giapponese, Aum, salgono sui treni della metropolitana di Tokyo. Hanno con sé, in sacchetti di plastica, un gas potente, il sarin, creato dai tedeschi nel 1938, oggi noto come gas nervino. Con la punta dei loro ombrelli forano i sacchetti e fanno fuoriuscire il gas. Risultato: 3.796 feriti, moltissimi in condizioni gravi, e 12 morti. Un gesto pazzesco. Immotivato. Non c’è a sostenerli nessuna idea di guerra santa, di affermazione di una religione sull’altra. Qualcosa di religioso è però in gioco, dato che sono membri della setta Aum guidata da un santone, Shoko Asahara. Questi tiene conferenze, afferma di praticare la levitazione, appare in televisione, crea intorno a sé una struttura militante.

Murakami Haruki, lo scrittore giapponese autore di libri oggi assai celebrati, si è posto il problema di capire perché quelle cinque persone l’hanno fatto. Perché hanno portato in giro quel gas terribile, forato i sacchetti e provato a uccidere migliaia di persone. Un atto irrazionale, assurdo allo stato puro. Murakami ha scritto un libro su questa vicenda, «Underground» (Einaudi), diviso in due parti. Sono due libri. Nel primo ha intervistato i sopravvissuti, nel secondo i membri della setta. Tra gli assassini c’è un medico, un uomo stimato e stimabile, che ha salvato molte vite, il dottor Ikuto Hayashi. Non è un ragazzo, bensì un uomo maturo. Com’è possibile che l’abbia fatto? Murakami non si mette nella sua testa – cosa davvero difficile –, fa qualcosa di diverso: prova a immaginarsi di essere uno dei suoi amici. Cosa avrei potuto dirgli nel momento in cui ha preso i voti ed è entrato nella setta di Aum?, si chiede. Dirgli che sta commettendo un atto irragionevole, si risponde. Dirgli che «la realtà è qualcosa che include il disordine e le contraddizioni», che entrambi sono «compresi nella sua struttura, e se mai venissero eliminati, non sarebbe più la realtà»? Non c’è dubbio che la scelta del medico giapponese implica la soppressione di ogni contraddizione, di ogni disordine mediante un linguaggio e una logica apparentemente coerenti; tuttavia, dice lo scrittore che di questo si intende, la parte soppressa prenderà la sua rivincita, aspetterà al varco ciascuno dei convertiti.

Nella testa dei ragazzi che hanno ucciso a Parigi c’è questo: un’incontrollabile irrazionalità cui la fede religiosa estremista di uomini più maturi di loro ha dato un ordine e una struttura coerente. Nessuno può facilmente estirpare queste idee dal cervello di chi le ha sentite ripetere incessantemente e con la forza che deriva da un’autorità religiosa, o ritenuta tale.Murakami ha provato a seguire una traccia più sottile per capire Ikuo Hayashi: questo medico, questo uomo dall’istinto umanitario, bravo medico e amico sincero, ha rinunciato a pensare con la sua testa. Si è affidato una volta per tutte al santone di Aum. Ha smesso di arrovellarsi su qualsiasi questione e, in particolare, quella del controllo sul suo Io. Sono temi che chi ha un po’ di consuetudine con la letteratura psicoanalitica conosce. Erich Fromm ha scritto un libro oggi dimenticato, eppure molto esplicito: Fuga dalla libertà. Il medico giapponese si è identificato con l’Io di Asahara, il santone Aum, più grande del suo. Come seguace ha raggiunto così la propria autonomia nella assoluta dipendenza. Murakami dice a proposito dei seguaci della setta: sono passivi, anche quando uccidono con il sarin, perché l’unico vero combattente è Asahara, gli altri sono semplicemente inghiottiti e amalgamati nell’Io del capo assetato di battaglia. I ragazzi che hanno ucciso a sangue freddo altri ragazzi a Parigi, urlando frasi insensate dal presunto significato religioso, tendono a una purezza che è stata predicata loro.

Una purezza che non trovano nella società occidentale. Questa purezza li ha fatti agire come in preda a un incubo. Per quanto in questi anni abbia letto numerosi saggi o articoli, di cui riferisco in un libro, «L’età dell’estremismo», da cui traggo parte di questo materiale non ho trovato ancora una spiegazione sufficiente ad argomentare perché un giovane arabo, un iraniano, uno scita, un giovane musulmano delle periferie di Londra o Parigi, decida di dedicarsi a una missione suicida, di assaltare mitragliatore alla mano una caserma, un locale, un teatro, una scuola, massacrando a sangue freddo chi vi si trova. Ci sono molti profili sociali e psicologici. Alcuni psicologi parlano di personalità impulsivo-instabili. Ci sono molti profili sociali e psicologici. Alcuni psicologi parlano di personalità impulsivo-instabili. Di certo su molte persone che somigliano in qualche modo al dottore giapponese, che rinunciano a pensare in proprio, che sono fragili o deboli psicologicamente, agisce efficacemente la predicazione estremistica. Ma una spiegazione definita non c’è e forse non può esserci. Non so cosa c’è nella loro testa. Non ho nessuna rassicurazione e nessuna consolazione. Posso solo trascrivere un’osservazione di Adam Phillips. Ogni volta che la rileggo mi fa pensare: «I fanatici sono persone che hanno dovuto aspettare troppo a lungo qualcosa che potrebbe non esistere». Per questo uccidono, per questa non esistenza. Cosa possiamo opporre noi occidentali? Un’altra non esistenza? Difficile dirlo.

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