Ora si ricostruisca
l’equilibrio politico

C’è solo un paragone efficace per descrivere cosa sta accadendo nel mondo politico dopo il referendum: quello della maionese impazzita. Nessuno sa davvero cosa gli conviene fare e Mattarella, alle prese con la sua prima vera crisi, deve provare a ricostruire un equilibrio politico e parlamentare che si è sbriciolato. Chi ci protegge dall’alto (Mario Draghi) e chi ci controlla da vicino (la Commissione europea e gli investitori stranieri) ci concedono poco tempo per fornire qualche garanzia, poi tutto può accadere: occorre fare in fretta.

Ma come? Mattarella, fedele alla sua storia di democristiano cauto e mediatore, per prima cosa ha cercato di rasserenare gli animi. Con i suoi interlocutori ha spiegato che la legge di stabilità va approvata in via definitiva al Senato e per questa ragione ha chiesto a Renzi di differire di qualche giorno le sue dimissioni formali così da far fronte agli impegni. Dopodiché il capo dello Stato ha preso in mano il gomitolo e ha cominciato a sbrogliarlo.

Tutto parte dalle reali intenzioni dell’ormai ex segretario-premier. Lui, che considera irrinunciabili le dimissioni da presidente del Consiglio, rimane il leader del partito più grande, nessuna soluzione è praticabile con la sua ostilità, e per questa ragione deve proporre una via d’uscita. Quale? Tante ipotesi, come sempre.

La prima è quella di un governo istituzionale che faccia poche cose essenziali ( la legge elettorale) e porti il Paese alle urne in sei mesi o un anno. Il nome più gettonato per un governo simile è quello del presidente del Senato Piero Grasso. Poi ci sarebbe il governo «tecnico» con a capo un ministro del governo uscente. In questo caso, come il ministro del Tesoro di Berlusconi Lamberto Dini nel 1994 fu incaricato di andare a Palazzo Chigi dopo la crisi del primo centrodestra, allo stesso modo potrebbe ricevere lo stesso incarico Pier Carlo Padoan che rassicurerebbe l’Europa e gli investitori. Un’altra ipotesi potrebbe essere quella del governo «di scopo» la cui unica differenza con i precedenti sarebbe quella di affidare la presidenza del Consiglio ad un esponente del Pd: Dario Franceschini o Graziano Delrio sono le personalità più gettonate. Ciascuno di questi governi dovrebbe trovare in Parlamento il consenso necessario per dotare l’Italia di una legge elettorale per la Camera e per il Senato senza la quale, come è ovvio, non si può andare a votare al più presto e al massimo tra un anno. Già, perché l’Italicum, la legge vigente per la Camera, che ormai piace solo ai grillini, tra poco sarà dichiarato parzialmente illegittimo dalla Corte Costituzionale. Ma il peggio è che il Senato una legge elettorale proprio non ce l’ha, visto che la riforma bocciata al referendum prevedeva che i senatori non sarebbero stati eletti: si potrebbe utilizzare solo quel mozzicone di Porcellum lasciato in vita dalla Corte Costituzionale, un sistema proporzionale che non garantirebbe una maggioranza e produrrebbe un’assemblea di senatori ingovernabile. Un rebus.

Rispetto a tutto ciò Renzi per il momento vorrebbe tirarsi fuori. Ma ovviamente non può, e fra poco non vorrà. Dovrà lui dare le carte e fare le sue scelte. Ma Renzi guida un partito dove la lotta tra la maggioranza e la minoranza che si è battuta per il No contro il segretario-premier è ormai arrivata ad un punto di non ritorno in cui gli uni e gli altri sognano di sbattere fuori gli avversari. La scissione è ad un passo, la coabitazione si è fatta impossibile, basta ascoltare D’Alema per capirlo. La minoranza bersaniana fa parte di quelli che hanno vinto al referendum e adesso pretende di imporre condizioni agli sconfitti renziani che ovviamente non ne vogliono sapere. Ma se maggioranza e minoranza non si mettono d’accordo, nessuna soluzione di governo avrà i voti per superare la fiducia alla Camera e al Senato. È lì dunque l’epicentro del terremoto politico e lì bisogna agire. Senza dimenticare in tutto ciò che l’insieme delle forze che hanno vinto il referendum e si trovano all’opposizione di Renzi e del suo partito, sono tra loro incompatibili e non in grado di costruire un’alternativa di governo al Pd.

Conclusione di questa lunga disamina: con la crisi del governo Renzi e il fallimento della sua riforma costituzionale stiamo entrando in una fase di instabilità politica molto pericolosa, di cui non conosciamo né l’esito né la durata, che ci può esporre in breve agli assalti degli speculatori e che soprattutto – se non risolta in tempi relativamente brevi – potrebbe sciupare la timida ripresa economica che ci sta lentamente portando fuori della recessione.

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