Papa Francesco
Forza dell’esempio

In ogni società civile «l’esempio», cioè un comportamento che serva come modello da imitare, esercita un ruolo di straordinaria importanza. Secondo autorevoli sociologi, infatti, ciascuno di noi è influenzato per almeno il 50% dagli esempi ricevuti in giovinezza e per il 25% dagli esempi che riceve giornalmente. Il restante 25%, che dipende da libere scelte, conferma la nostra unicità umana.

Questi dati evidenziano, inequivocabilmente, che la nostra crescita individuale può essere in larga misura influenzata dagli esempi proposti da coloro ai quali sono assegnate specifiche responsabilità nella famiglia e nella società.

Nella storia dell’umanità si ritrovano innumerevoli e costanti richiami all’importanza costruttiva dell’esempio. Nel I secolo d.C. Lucio Anneo Seneca, riferendosi agli educatori e ai membri del Senato romano, scriveva: «Lunga la strada dei precetti, breve ed efficace quella degli esempi». Il poeta Fedro a chi gli chiedeva quale fosse il significato delle sue celebri favole sugli animali, rispondeva: «Servono agli uomini, perché noi impariamo dagli esempi». Il filosofo Jean Jacques Rousseau nel suo libro «La grande Eloisa» raccomandava: «Proponiamo grandi esempi da imitare piuttosto che vani sistemi da seguire».

In epoca moderna, tra quanti hanno richiamato la centralità educativa dell’esempio, piace ricordare Don Milani, il quale diceva: «L’educazione deve essere impostata sull’esempio, non solo sull’istruzione». Per Don Milani, «l’esempio primario» consiste nel fare esattamente ciò che si chiede agli altri di fare, perché questo rappresenta il punto di partenza per creare basi positive di comportamento in famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella società. Egli indicava, anche, un «livello più elevato di esempio», che doveva riguardare «tutti coloro i quali hanno grandi responsabilità in ambito, sociale, culturale e politico». Questo tipo di esempio supera l’azione episodica dell’esempio primario e propone l’impegno per un modello di vita in cui trionfino la giustizia, la tolleranza, la coerenza, l’onestà.

Chiunque di noi ha conosciuto persone capaci di trasmettere questo tipo di esempio, non le dimenticherà mai. Tra queste persone si è collocato, sin dalla nomina al soglio di Pietro, Papa Francesco nella sua costante convinzione che costumi e comportamenti non in linea con gli insegnamenti del Vangelo possano essere radicalmente cambiati, anche nell’ambito della chiesa, ricorrendo ad un’arma rivoluzionaria come l’esempio.

Nel bel mezzo dei gravi avvenimenti che hanno interessato la Curia romana, esemplare appare una sua intervista rilasciata ad un giornale di strada olandese. A proposito della povertà ha detto: «Se un credente parla della povertà e dei senzatetto e conduce una vita da faraone, questo non si può fare». E ancora riguardo alla sua scelta di vivere in piccoli ambienti a Santa Marta ha aggiunto: «Non posso vivere qua (riferendosi al palazzo Apostolico); per motivi mentali mi farebbe male». E ancora: «Mangio nella sala da pranzo dove mangiano tutti; trovo gente, la saluto e questo fa sì che la gabbia d’oro non sia tanto una gabbia, ma mi manca la strada». Quest’ultima affermazione fa anche intravedere una esigenza che avverte il Papa, ma che dovrebbe essere avvertita da tutti i leader, di vivere tra i tanti, piuttosto che in una solitudine blindata, avendo accanto pochi cosiddetti «fedeli» che, come spesso accade, sono pronti a tradire perché assetati di potere. Oggi viviamo, purtroppo, un’epoca nella quale molti di coloro che hanno grandi responsabilità si mostrano incapaci di trasmettere esempi virtuosi, ignorando che l’esercizio della loro responsabilità deve essere sempre strettamente collegato alla consapevolezza di dover rispondere delle proprie azioni.

Ma una ancor più tragica condizione del nostro vivere quotidiano è rappresentata dalla crescente presenza di esempi negativi, accompagnata da una diffusa sottovalutazione degli effetti prodotti. Capita, così, che chi evidenzia questa tendenza come distruttiva per la crescita civile della società, sia additato come illiberale, perbenista, moralista o puritano. Si ignora, però, che solo quando i sistemi di valutazione popolare sanno privilegiare gli esempi positivi e condannare quelli negativi, la società trova il segreto della moltiplicazione dei comportamenti virtuosi.

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