Pensioni, i numeri
parlano chiaro

Gli italiani pensano che gli over 65 siano meno di quelli che sono in realtà e credono che ci siano molti più under 14 di quelli che il Paese può contare. Il calo demografico, ai ritmi attuali, potrebbe ridurre la popolazione di 300.000 unità in 5 anni. Siamo tutti contrari all’immigrazione clandestina, ma dovremmo ragionare su come aumentare quella regolare, «sparliamo» di immigrati ma non parliamo abbastanza di quanto emigrano i nostri giovani: tutti questi fattori riducono esponenzialmente il rapporto tra cittadini in età pensionabile e in età da lavoro, in un Paese in cui per ogni 2 pensionati ci sono solo 3 lavoratori. È questo il quadro tracciato dal presidente dell’Inps Tito Boeri che, cifre alla mano, ha messo in evidenza come questo Paese abbia bisogno di tornare a crescere in termini demografici, economici e occupazionali, anche grazie agli immigrati, pena l’implosione di un welfare che diverrebbe presto impossibile da alimentare.

Al di là della nuda polemica politica che ne è scaturita, una reazione a questa evidenza – in particolare – merita una lettura più approfondita. Vale forse la pena non considerare il carattere prettamente propagandistico di chi ha cavalcato le dichiarazioni di Boeri per rassicurare i propri elettori, mentre può essere utile concentrarsi sul riscontro fornito da uno dei vicepremier che, di fronte alle statistiche evidenziate dall’Inps, ha tacciato il presidente dell’ente previdenziale di esprimere «opinioni personali», quando dichiara che un Paese che sta invecchiando e dove si fanno pochi figli ha bisogno di accogliere gli immigrati regolari se vuole tenere in piedi il proprio sistema economico e sociale.

In sostanza, si sostiene che se gli italiani si vedono come un popolo più giovane di quanto non sia per le statistiche e si sentono «circondati» da immigrati oltre la realtà, è fondamentale dare spazio a questa percezione che – per quanto non confermata da dati reali – è stata troppo a lungo trascurata dalla politica. Insomma: i numeri parlano chiaro ma noi dobbiamo dare spazio alle «sensazioni» degli italiani. Dal punto di vista dell’analisi che sottende ai processi che si vorranno avviare in futuro per il nostro Paese, questa posizione pone una questione non di poco conto: di fronte alla spinta a generare politiche economiche e sociali a partire da quella che gli italiani pensano sia la realtà, è opportuno chiedersi quali potrebbero essere gli esiti di tale scelta. In una fase così profonda di cambiamento per il Paese, è fondamentale valutare se sia effettivamente sensato elaborare soluzioni future in base alla percezione o se valga invece la pena farlo in base a un quadro più ampio, chiaramente definito dai numeri e dalla capacità di comprenderli e costruirvi sopra misure mirate, a partire da interventi seri e concreti per la famiglia, grande assente – da troppo tempo – dalle politiche economiche e sociali.

Dunque, forse chi rappresenta l’interesse generale nei processi di governo del Paese deve affrontare la realtà per quella che è, sin da subito, prima che essa prenda il sopravvento. Certo, dovremmo tutti assumerci più responsabilità, personale e collettiva, nel costruire le risposte alle sfide epocali che abbiamo di fronte, parlando il linguaggio della verità più che quello della convenienza, anche se questo ha un costo. Del resto, non c’è conquista senza sacrifici.

Il sistema di welfare italiano richiede una lettura attenta, approfondita e su più livelli, per essere rinnovato e reso sempre più efficiente e rispondente ai nuovi bisogni che emergono oggi, frutto di mutamenti sociali compresi ancora solo in parte. Leggere la realtà complessa che ci circonda e costruire soluzioni e processi esclusivamente in base a tale lettura dovrebbe essere l’unica via valida per affrontare il futuro del Paese.

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