Poliziotto eroe
Dio e gli orrori

Ha fatto molto parlare e molto ha commosso il caso del tenente colonnello Arnaud Beltrame, ucciso dal terrorista Radouame Lakdim, dopo essersi scambiato con un ostaggio in un supermercato di Trèbes, nel dipartimento dell’Aude, nel Sud della Francia. «Ha fatto il dono della vita per proteggere i nostri concittadini», ha detto il presidente Emmanuel Macron. Il quale terrà il discorso funebre ufficiale, a Parigi, agli Invalides, domani. Ma il dono della vita ha suscitato anche altre suggestioni, questa volta da parte del vescovo di Carcassonne, che ha messo in rapporto il gesto di Beltrame con la morte di Gesù, che i cristiani ricordano durante la Settimana santa.

«Era ispirato dalla fede», ha detto il vescovo. Si è saputo, infatti che Beltrame era nato e cresciuto in una famiglia non praticante, ma dieci anni fa si era convertito al cattolicesimo, aveva ricevuto la prima Comunione e aveva cominciato a frequentare assiduamente l’abbazia tradizionalista di Lagrasse, dove la lingua liturgica è il latino. Così ha raccontato il sacerdote che gli ha dato l’estrema unzione, padre Jean-Baptiste.

Dunque Beltrame era un convertito. E, come spesso avviene ai convertiti, aveva aderito alla fede cristiana nelle sue forme più dure e pure. La conversione, in effetti, è, da sempre, un evento spettacolare soprattutto se valutata dai punti estremi, quello di partenza e quello di arrivo. Non si converte, di solito, un cristiano che vive abitualmente la fede. È la modalità quotidiana di essere cristiani: la fede è diventata parte della vita come gli affetti, il lavoro, il mangiare e il parlare con le persone care. Un cristiano siffatto parla con Dio come si parla con il proprio padre o la propria madre. Lo «scarto» di una fede così dalla vita è minimo. La bellezza, in quel caso, è la vicinanza, il rischio è la banalizzazione. Dio affascina perché è «qui» ma rischia, talvolta, di non essere più Dio.

Quando, invece subentra l’esperienza della conversione, la distanza tra la vita e la fede aumenta vertiginosamente. Il punto di partenza è spesso il vuoto totale: Dio non c’è o è come se non ci fosse. A un certo punto, il convertito, scopre che, invece, Dio c’è e invade tutta la sua esistenza. È un’esperienza che può essere definita «estatica» che fa uscire dalla vita, in qualche modo. Ha qualcosa di mistico: un essere umano «assorbito» da Dio.

A questo proposito, un grande francese, Paul Valéry, fa un’osservazione che mi sembra interessante. Fa notare come il mistico è colui che riesce ad arrivare a Dio e a contemplarlo. «Ma da questa contemplazione… mi sembra impossibile che si possa ridiscendere alla “creazione”, all’osservazione di ciò che è osservabile, di modo che questo mondo sia “giustificato”, con le sue brutture e i suoi orrori irrecusabili e necessari…” (Quaderni, vol. V., pag. 417)». Insomma, il mistico (e il convertito), «preso» da Dio fatica a capire il mondo così lontano da Dio.

Beltrame aveva fatto la sua esperienza di Dio, l’aveva sentito come «altro», tanto che andava a pregare in una abbazia, e pregava in latino. Il suo lavoro l’ha costretto violentemente a rientrare nel mondo, ma nel momento in cui rientrava, è stato falciato da uno degli «orrori irrecusabili», il terrorismo. La sua fedeltà al mondo ha coinciso con lo choc violento della morte.

Per tutto questo, forse, la sua esperienza resta esemplare. Ha toccato con mano gli estremi: Dio e la sua diversità, il mondo e i suoi orrori. Si potrebbe anche dire che la sua vita è rimasta in bilico fra la bellezza estrema di Dio e la bruttezza estrema del mondo.

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