Prometti prometti
qualcosa resterà

Cittadini digitali d’Italia esultate. Presto ognuno di voi potrà disporre di mezz’ora di connessione Internet gratis. Poiché la rete è come l’acqua: «Deve essere un diritto prioritario per i cittadini e siamo al lavoro per tutelarlo». Lo ha detto il vice premier e ministro del Lavoro e del Welfare Luigi Di Maio, nel suo intervento a Montecitorio all’Internet Day. La connessione gratuita alla Rete, nella proposta del ministro, «sarebbe un incentivo alla cittadinanza digitale». Il vicepremier ha anche annunciato che «questo governo proseguirà il percorso di potenziamento delle infrastrutture di rete, proseguendo gli investimenti nel piano banda ultralarga e 5G». Internet è importante, per carità.

Questo articolo verrà inviato per e-mail. Ma qual è l’utilità di poter disporre di mezz’ora di connessione gratuita al giorno? E a che ora? Ne potremo usufruire al mattino presto, come avveniva (e in taluni casi avviene ancora) in certi paesi del Sud dove i rubinetti dell’acqua funzionano solo in certe ore della mattinata e si riempiva la vasca da bagno per la riserva? Verremo rimborsati alla fine del mese? O potremo distillarcela lungo la giornata, come un bene prezioso, come una bibita con la cannuccia? Le mezz’ore sono cumulabili? È personale o potremo chiedere a qualcun altro, tipo mia zia o mia nonna, di cederci qualche mezz’oretta?

Non è la prima volta che il ministro del Lavoro fa esternazioni del genere. In Italia la disoccupazione è al 10,9 per cento, quella giovanile è del 31 per cento (ma al Sud tocca punte del 70 per cento). Ci si aspetterebbero programmi e annunci su come facilitare le assunzioni e disincentivare i contratti a termine, sanare la malattia del precariato, riformare il Welfare, attuare politiche di sostegno. Ma a giudicare dalle ultime dichiarazioni del ministro a 5 Giga non pare che tutto questo sia in cima ai suoi pensieri.

Però capiamo benissimo che in questo governo gialloverde si è instaurata una sorta di competizione sul piano comunicativo tra Di Maio, a nome dei Cinque Stelle e Salvini a nome della Lega. Questo dualismo ormai sfiora i limiti del ridicolo, sta per diventare una gara a chi la spara più grossa. In mezzo, con tutto il rispetto per l’elegantissimo premier Conte, il nulla, o poco più. Il ministro dell’Economia (di cui francamente non ci si ricorda nemmeno il nome) non ha ancora spiegato come si fa a finanziare un programma di governo che prevede costi aggiuntivi per 65 miliardi di euro e contemporaneamente risanare il debito pubblico. Il caro vecchio dilemma della botte piena e la moglie ubriaca.

E così non resta che rincorrere i tweet e le dichiarazioni dei due «competitor», tenuto conto che per Di Maio rincorrere Salvini è come per un gregario rincorrere Vincenzo Nibali sullo Stelvio. Dopo dieci minuti dall’inizio del tappone ti ha già dato sei o sette curvoni tra immigrati, profughi, rom, clandestini, Ong, censimenti, sbarchi, porti chiusi, rispostacce a Macron, elogi a Orbàn e bastonate a Sanchez. Ma lui ce la mette tutta. Ed ecco promettere l’abbattimento dei famigerati vitalizi dei politici, se non fosse che sono stati già aboliti nel 2012. Oppure annunciare che la «sforbiciata» alle pensioni dei ricchi (oltre i 5.000 euro netti) porterà nelle casse dello Stato un miliardo di euro. Anche in questo caso peccato, perché i conti non tornano: al massimo (sempre ammesso che la Consulta non bocci il decreto per diritti acquisiti) se ne ricaverebbero 210 milioni di euro. Poi c’è la norma delle localizzazioni: se un’azienda ha ricevuto sussidi e se ne va all’estero, «dovrà restituirli con interessi del 200 per cento». Ecco a voi un fantastico modo per disincentivare gli investimenti in Italia.

C’è poi la promessa delle promesse, il reddito di cittadinanza. A quel punto dovremo quantomeno cambiare nome al ministero e magari definirlo ministero della Rendita a vita. «È la priorità più grande, sarà pronto entro l’anno, ci stiamo lavorando», annuncia il ministro. Meno male che c’è ancora qualcuno che lavora.

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