Quelle parole forti
del Papa «sindacalista»

Un sindacato che si faccia carico dei più deboli, che tuteli i diritti dei lavoratori, che faciliti il dialogo tra le parti sociali, che lotti contro le diseguaglianze, che faccia da contropotere al liberismo selvaggio e al potere della politica omnipervasivo, spesso al servizio dei mercati e dei grandi gruppi finanziari. Che abolisca insopportabili privilegi, come le pensioni d’oro. Questo è il sindacato della dottrina sociale della Chiesa ed è il sindacato di Jorge Mario Bergoglio. Il discorso di Papa Francesco in aula Nervi ai mille delegati della Cisl,guidati dal segretario Annamaria Furlan, in occasione del XVIII Congresso federale, irrompe ancora una volta nel dibattito sociale italiano, affrontando i temi del lavoro, delle pensioni, del Welfare, si fa carico non solo dell’ingiustizia sociale.

Parole semplici, crude, talvolta molto dure ma sempre chiare, sotto la cui superficie però, ci sono 126 anni di dottrina sociale della Chiesa. Tanto è passato dall’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Papa Francesco sorprende sempre per la schiettezza del suo pensiero. Eccolo definire le «pensioni d’oro» nient’altro che «un’offesa al lavoro, non meno grave delle pensioni troppo povere, perché fanno sì che le diseguaglianze del tempo del lavoro diventino perenni». Non ha timori reverenziali: impossibile non evocare lo scandalo delle pensioni d’oro che ha coinvolto anche alcuni stessi dirigenti della Cisl due anni fa, con rendite che superavano i 5 mila euro mensili.

Al Papa preme portare avanti quel «patto sociale» indispensabile per dar un futuro a milioni di giovani. Un patto «che riduca le ore di lavoro di chi è nell’ultima stagione lavorativa, per creare lavoro per i giovani che hanno il diritto-dovere di lavorare». Oggi si va in pensione a 67 anni. L’Azienda Italia sta diventando un immenso serbatoio di lavoratori dai capelli d’argento. Ma, sottolinea il Papa, «è una società stolta e miope quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga una intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti». Sembra essere l’unico, in questa fase storica, a denunciare con chiarezza i limiti del liberismo e della speculazione finanziaria.

Per Francesco non si deve infatti parlare di economia di mercato, ma di economia sociale di mercato, «come ci ha insegnato Giovanni Paolo II», il Papa operaio della «Laborem Exercens».Non si tratta di strappi o di fughe in avanti, ma di coerenza con la dottrina sociale della Chiesa adeguata alle contingenze storiche della modernità.

Francesco ha persino «sferzato» il sindacato cattolico guidato da Annamaria Furlan, rilevando che «il capitalismo del nostro tempo non comprende il valore del sindacato, perché ha dimenticato la natura sociale dell’economia, dell’impresa, della vita, dei legami e dei patti. Ma forse la nostra società non capisce il sindacato, ha aggiunto il Papa ,«perché non lo vede abbastanza lottare nei luoghi dei diritti del non ancora: nelle periferie esistenziali». Da qui l’esortazione a farsi protettore dei diritti e dei bisogni di quelle categorie «periferiche» che stanno fuori dal bacino tradizionale degli iscritti (lavoratori e pensionati»: giovani disoccupati, precari, famiglie private di un reddito di sussistenza, esodati, cinquantenni che non riescono a ritrovare un posto. Le pietre di scarto del mondo del lavoro. Come dimostra anche la grande tradizione della Cisl, ha concluso Francesco «il movimento sindacale ha le sue grandi stagioni quando è profezia». Ma col passare del tempo ha finito per «somigliare troppo alla politica, o meglio, ai partiti politici, al loro linguaggio, al loro stile. E invece, se manca questa tipica e diversa dimensione, anche l’azione dentro le imprese perde forza ed efficacia».

Questo passaggio del discorso del «papa sindacalista» Jorge Mario Bergoglio è stato molto applaudito dai presenti all’udienza. È lui la stella polare dei diritti di milioni di lavoratori in Italia. Il sindacato, o almeno la Cisl, ha una stella polare per ritrovarsi e ripartire nella crisi che stiamo vivendo da anni.

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