Referendum, passo
indietro e di lato

La febbre della politica italiana, ridimensionata sul piano mediatico dalle crisi internazionali attorno a noi nel cortile di casa, arriva alla pausa estiva con i due passi indietro di Berlusconi (Stefano Parisi e Milan) e il passo a lato di Renzi (referendum). La cessione del club rossonero ai cinesi ha un forte valore simbolico e segna un punto di svolta nella parabola umana e professionale dell’ex premier e nell’incrocio tumultuoso fra dimensione privata e pubblica.

Il Milan è stata una formidabile macchina del consenso e s’è rivelata cruciale, quasi un ascensore, nel costruire l’immagine dell’uomo vincente. Il congedo da quel mondo di miti e riti accompagna dopo gli anni ruggenti il tramonto del condottiero, l’apparente ritirarsi nel privato come se stesse sottoponendosi ad un autoesame per riorganizzare il rapporto con l’ambiente esterno.

Da un lato la sistemazione dell’argenteria di famiglia (in attesa dell’esito del contenzioso con Vivendi per la cessione di Mediaset Premium), dall’altro, con l’affidamento della prima linea di Forza Italia a Parisi, il ritagliarsi il ruolo del padre nobile. Calando la carta del manager, reduce dalla dignitosa sconfitta a Milano, il centrodestra potrebbe tornare a fare politica in quella vasta prateria che va da Forza Italia alla Lega, dove nel frattempo ha perso 10 milioni di voti.

Il termine rottamazione, che sarebbe un copia e incolla del Pd renziano, non ricorre più di tanto, ma il percorso iniziato dal manager ex socialista appare come un commissariamento della scuderia berlusconiana: fosse così, anche questa sarebbe l’eclissi di una stagione più rumorosa che convincente. La formula liberal-popolare, che è il modello milanese, riproposta da Parisi si muove in un contesto nuovo perché intende addomesticare e contenere la Lega, ma ha la polvere degli anni ’90: nella Seconda Repubblica, Berlusconi più che governare l’area moderata l’ha radicalizzata, tant’è che al dunque pezzi consistenti hanno traslocato da Grillo e nell’astensione.

Oggi, però, le condizioni sono diverse, perché questa rifondazione è alternativa alla linea nazional-lepenista di Salvini che non paga più: non supera la Toscana e ha isolato gli ex padani in una prospettiva velleitaria. Per il momento sappiamo tre cose: il mandato all’ex ad di Fastweb incontra una serie di resistenze fra i colonnelli, Salvini (almeno a parole) non ne vuole sapere e, infine, è emerso in superficie il contrasto con il filone istituzional-padano di Maroni. È chiaro, poi, che se l’esito del referendum costituzionale determinerà il futuro del governo, potrebbe non essere indolore per lo stesso centrodestra. Parisi è per il «no» e punta a far saltare il tavolo, cioè il governo, ma non sembra questa la posizione di Berlusconi che intende tornare ad essere della partita. Qualsiasi soluzione, in ogni caso, è un pasticcio per il nuovo contenitore dei moderati: la vittoria del «sì» metterebbe l’ex Cavaliere ai margini, ma quella del «no» sarebbe un successo di Salvini, un esame di leadership vinto dal meno congeniale degli alleati-competitori di Berlusconi.

Nei pasticci era finito anche Renzi e in parte ne è uscito, mettendo il silenziatore sul referendum perché stava facendosi del male: s’è imposto il basso profilo, spersonalizzando la battaglia nel tentativo di restituire il giudizio sulla riforma costituzionale ad una valutazione di merito e spogliandola di un improprio «giudizio divino».

Il premier ha il fiatone, è un po’ logorato, la ripresa stenta, sulle banche il rischio maggiore è stato evitato ma la situazione non è risolta, la pax renziana non ha domato l’attivismo dell’opposizione interna: in campo c’è sempre la mina vagante dell’Italicum e dei suoi controversi legami con la riforma del Senato. Stretto fra l’avanzata grillina e la ricomposizione del centrodestra, a Renzi serve lo scatto d’ala per la «fase 2» del governo.

I termini della scommessa cambiano: l’aver spostato il referendum a dopo il varo della Legge di stabilità crea un nesso fra i due appuntamenti nella prospettiva di farne un progetto politico. Perché il ventre molle resta la sofferenza sociale: manovra finanziaria espansiva e referendum viaggiano insieme e al governo occorre un sostegno alla ripresa per un autunno di riforme economiche e istituzionali. Come sempre saranno mesi difficili: dovremo nel frattempo uscire indenni dall’incendio della sponda Sud del Mediterraneo in una situazione che rimane fluida come confermano l’involuzione della Turchia e gli sviluppi sul terreno in Libia. E a novembre quando può succedere di tutto, con il cambio alla Casa Bianca saremo in un mondo nuovo.

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