Reinventare la realtà
Costruire il futuro

Sconforto e senso di impotenza. Questi, a prima vista, i sentimenti che sembra suscitare il XXI Rapporto Einaudi sull’economia globale e sull’Italia, presentato a Bergamo martedì scorso dall’economista Mario Deaglio. Il quadro che emerge infatti, come è stato ampiamente riportato su queste pagine, è quello di una «stagnazione secolare» a livello mondiale, appesantita per di più dalle incertezze sul futuro. Una situazione dunque tutt’altro che incoraggiante e che il Rapporto implacabilmente, e giustamente, fotografa. D’altronde, come avvertiva il grande scrittore e drammaturgo russo Nikolaj Gogol: «Non è colpa dello specchio se i vostri nasi sono storti».

Ma se lo specchio, sempre per riprendere la metafora di Gogol, non ha colpe, questo non significa che ci dobbiamo accontentare della realtà così com’è. Forse, tra la rassegnazione e l’utopia si può coltivare la speranza che le cose si possano cambiare. E per farlo bisogna anzitutto uscire dalla logica un po’ angusta di percepirsi in una sorta di eterna emergenza, evitando cioè che la velocità e la complessità della società di oggi diventino un comodo alibi per non trovare il tempo di fermarsi e non pensare a progetti di lungo respiro. Certo, è fondamentale capire le dinamiche che ci hanno portato al contesto attuale, ma ancor più importante è che quel contesto sia valutato in un presente, il nostro presente intendo, che anticipi e costruisca il futuro.

È questa la responsabilità di cui tutti dobbiamo sentirci investiti e in modo particolare, ovviamente, chi ha ruoli direttivi e di indirizzo nelle istituzioni, nelle banche, nelle imprese e all’università. E se ciò avviene poi, come da tempo ormai a Bergamo, in uno spirito di collaborazione, tanto meglio.

Mi limito a fare un esempio, giusto per non rimanere nel vago. L’anno prossimo l’Università di Bergamo, in collaborazione con l’Università di Milano Bicocca, del Surrey in Inghilterra e l’Azienda ospedaliera Papa Giovanni XXIII, prevede di aprire un nuovo corso di laurea in Medicina. Si tratta di una scelta impegnativa, ma che è anche una scommessa, sia per l’Università sia per la città. E ciò non riguarda soltanto gli studenti che avranno un’opportunità che oggi non hanno. Sappiamo infatti che istituire una nuova laurea significa incidere (anche) nel tessuto industriale di un territorio, per tutte le ricadute positive che, auspicabilmente, si avranno sul sistema produttivo e tecnologico appunto del territorio bergamasco. Nel fare questa scelta, vorrei precisare, abbiamo l’ambizione di pensare con lungimiranza, proponendo un corso di laurea originale, con saperi non tradizionalmente concepiti, ma basati su una progettazione dell’offerta formativa del tutto innovativa e di carattere internazionale.

Questo esempio, ne potrei fare altri, mi serve per esprimere un concetto piuttosto semplice, che riguarda l’Università, ma che credo possa valere in generale: abituare i giovani a guardare lontano, in prospettiva. Mi spiego meglio. All’università è affidato il compito assai delicato di formare le nuove generazioni, di formare cioè individui dotati di conoscenze e strumenti adeguati che li mettano in condizione di poter trovare la loro strada e di essere cittadini del mondo. Indubbiamente questi sono obiettivi sacrosanti che dobbiamo sempre perseguire. È per questo, dopo tutto, che i ragazzi intraprendono gli studi universitari: per farsi delle competenze e per metterle poi a frutto. Credo tuttavia che i nostri giovani (studenti e non) abbiano bisogno anche di altro, e l’Università (ma non solo l’Università!), può e deve dare il suo contributo. Sono cioè convinto che, oltre a quello che insegniamo nelle nostre singole discipline, dobbiamo aiutarli a sognare, a non lasciarsi assorbire completamente dalla realtà.

Salvatore Satta, un importante giurista del secolo scorso, ma che quando è morto nel 1975 si è scoperto che era anche un narratore straordinario e un letterato di grande finezza, ci ha lasciato un libro bellissimo: un romanzo epico e visionario ormai tradotto in diverse lingue, «Il giorno del giudizio». Ebbene, uno dei personaggi del libro, Ludovico, è un ragazzo che studia e legge tanti libri ma, come osserva Satta, a questa sua «vocazione della conoscenza» non «corrispondeva la capacità di conoscere» veramente. «Il guaio di Ludovico – scrive Satta – è che la vita non lo lasciava sognare, lo chiamava a far parte della realtà». Una realtà cioè tutta schiacciata sul presente, priva di ogni prospettiva e di ogni capacità di immaginare/sognare qualcosa di diverso.

Ecco noi dobbiamo scongiurare che i nostri giovani (studenti e non) diventino come il Ludovico descritto da Satta. Dobbiamo cioè aiutare le nuove generazioni a immaginare ed escogitare soluzioni sempre nuove, a non lasciarsi sgomentare dalla realtà che li circonda, ma a considerarla come un compito e qualcosa da inventare continuamente. Un compito di cui però dobbiamo farci carico anche noi, soprattutto noi che abbiamo ruoli di responsabilità. Soltanto così lo «specchio di Gogol» ci potrà restituire in futuro un’immagine meno cupa e più incoraggiante della realtà.

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