Ricerca pubblica
bene da sostenere

Ha destato scalpore la notizia che l’azienda farmaceutica Pfizer ha deciso di sospendere i suoi investimenti per trovare nuovi farmaci per la cura del morbo di Parkinson e della malattia di Alzheimer. La decisione è ovviamente motivata dal fatto che a fronte di molti miliardi di dollari investiti in questo settore il ritorno commerciale è stato scarso. Non vi è quindi nulla di sorprendente quando si consideri che gli investimenti di un’azienda farmaceutica hanno per definizione una finalità di lucro. La notizia consente peraltro di riflettere sulla diversità degli scopi con i quali si può investire in ricerca biomedica e soprattutto non deve generare pessimismo sulle prospettive future.

La ricerca biomedica di tipo accademico, quella che si svolge nelle università e negli istituti di ricerca, continuerà in questo come in altri settori a far avanzare le conoscenze scientifiche di base, quelle che ci consentono di comprendere le ragioni fondamentali per le quali si sviluppano le malattie più gravi come quelle degenerative del sistema nervoso e i tumori. I tempi di questa ricerca sono lunghi e per molti anni è difficile trarre immediati benefici e correlazioni che possano consentire lo sviluppo di nuove terapie. Quando, all’inizio degli anni 80, scoppiò l’epidemia dell’Aids gli investimenti fatti per sostenere gli istituti di ricerca accademica hanno permesso di identificare il virus Hiv responsabile dell’infezione, poi la sua struttura genetica e infine la straordinaria complessità che regola l’interazione del virus con il sistema immunitario del paziente. Tutto questo, negli anni successivi, ha permesso di identificare i bersagli di interventi farmacologici contro i quali l’industria ha generato farmaci capaci di modificare la devastante storia naturale di questa infezione. I frutti di quella stessa ricerca di base hanno portato più recentemente allo sviluppo di farmaci contro il virus dell’epatite C che oggi può essere radicato nella maggior parte dei pazienti.

In quegli stessi anni il sogno di molti ricercatori era quello di riuscire a curare i tumori del sangue, riuscendo ad attivare il sistema immunitario del paziente, senza farmaci chemioterapici. Anche questa ricerca è stata interamente sostenuta da investimenti pubblici governativi (in particolare il National Institute of Health degli Stati Uniti) o da associazioni di volontariato (in Italia Airc e Ail). Per oltre 30 anni questa ricerca non ha prodotto risultati immediati, ma oggi, il sogno di manipolare le cellule del sistema immunitario per renderle capaci di riconoscere efficacemente le cellule leucemiche del paziente è una realtà: studi clinici con questo approccio stanno partendo in tutto il mondo, anche a Bergamo. A questo punto l’industria farmaceutica è tornata acquisendo, spesso per cifre relativamente modeste, i brevetti sviluppati dalle università e dai migliori centri di ricerca biomedica. Alcuni mesi fa, in un incontro scientifico internazionale dedicato a questo settore, mi ha molto colpito osservare che gli applausi più calorosi e le maggiori attenzioni erano rivolte a ricercatori e clinici che in questa storia sono entrati solo nelle ultime fasi. Nessuno prestava attenzione a quel maturo ricercatore israeliano che con tanti anni di duro e oscuro lavoro in laboratorio, aveva fatto la scoperta chiave per portare a questo formidabile lavoro. Quando l’ho avvicinato per salutarlo e ringraziarlo si è messo a piangere.

La conclusione di queste riflessioni è facile. L’avanzamento delle conoscenze resta affidato prioritariamente alla ricerca accademica che vive prevalentemente di finanziamenti che sono resi disponibili dai governi e dalla generosità delle diverse associazioni di volontariato. L’accesso a questi finanziamenti, proprio perché pubblici, deve rimanere rigorosamente meritocratico. Speriamo quindi che in occasione delle prossime scadenze elettorali, almeno qualcuno dei prossimi candidati voglia rivolgersi non alla pancia ma al cervello di noi cittadini chiedendo il nostro consenso parlandoci di cose buone per il futuro nostro e dei nostri figli. Parlandoci quindi di investimenti nella scuola, nell’università e nella ricerca biomedica.

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