Scontro sul fine vita
Una legge che divide

L’ultimo atto del Senato in questa legislatura arriverà oggi intorno alle 11 quando l’aula dirà il suo sì definitivo alla legge sul biotestamento. Approvata in marzo alla Camera, passata indenne attraverso l’esame della Commissione, la proposta ha affrontato i marosi di più di tremila emendamenti, presentati in egual misura dalla Lega e dai centristi. Non una delle proposte di modifica è stata però accolta: la maggioranza trasversale di democratici, grillini e sinistre varie le ha respinte tutte usando anche il meccanismo detto «del canguro» (vuol dire che se un emendamento viene bocciato, decadono automaticamente tutti quelli simili o uguali). Ma anche se avessero voluto, i sostenitori della legge non avrebbero potuto fare diversamente: introdurre anche una sola variazione dal testo approvato alla Camera avrebbe riportato il biotestamento a Montecitorio e dunque nel cassetto dove, per intenderci, si trova lo ius soli. E invece, andando avanti come un carro armato, la maggioranza oggi porterà a casa il biotestamento come aveva promesso.

Il governo si è mantenuto neutrale rimettendosi al giudizio dell’assemblea su ogni voto dei senatori: la prudenza e l’abilità di Gentiloni, le doti che quasi certamente lo faranno rimanere a Palazzo Chigi anche nella prossima legislatura, si sono viste anche in questa occasione. Nonostante il finale già scritto, lo scontro in aula ha avuto momenti di grande tensione fino a quando la stanchezza dovuta alle centinaia di votazioni non l’ha avuta vinta lasciando spazio alla rassegnazione: «Una giornata inutile - ha sospirato il capogruppo leghista Gianmarco Centinaio - hanno vinto loro».

C’è anche da dire che nello stesso fronte contrario non tutti hanno avuto lo stesso atteggiamento: durissimo, come detto, quello della Lega e dei centristi come Gaetano Quagliariello, Carlo Giovanardi e Maurizio Sacconi; articolato e flessibile quello adottato da Forza Italia, con quasi solo Maurizio Gasparri pronto in aula ad alzare la voce. Sul fronte opposto la compattezza del Pd non è stata messa a rischio dalle perplessità manifestate alla Camera da un gruppo di parlamentari di estrazione cattolica (come l’ex presidente della Fuci Giorgio Tonini): una volta ottenuta l’assicurazione che il testo non contiene un via libera all’eutanasia e al suicidio assistito, il sì è stato mantenuto. In tutte le votazioni – centinaia - la maggioranza dei favorevoli ha avuto un vantaggio larghissimo, e neanche un piccolo brivido ha attraversato l’assemblea durante i venti scrutini segreti cocciutamente richiesti dal centrodestra. Più volte in aula è stato fatto il nome di Eluana Englaro, la cui morte fu annunciata proprio durante una drammatica seduta di Palazzo Madama, quando Gaetano Quagliariello urlò «assassini» ai suoi colleghi contrari a prolungare le cure di quella sfortunata ragazza.

La legislatura dicevamo sta per spirare, e il centrodestra, che nutre fiducia di conquistare la maggioranza nella prossima, promette che modificherà una normativa che giudica, da una parte, un «obbrobrio giuridico», dall’altra «una eutanasia mascherata». Ribattono dall’altro fronte: «È una norma che colma un vuoto ed elimina sia l’accanimento terapeutico sia la possibilità dell’eutanasia». Ma proprio questo è il punto su cui in campagna elettorale tornerà lo scontro. Cui di sicuro contribuirà Marco Cappato, l’esponente radicale interrogato nel processo per il suicidio di Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo, da lui accompagnato in Svizzera e aiutato. Rivendicando la propria scelta, Cappato da una parte affronta le conseguenze giudiziarie del suo gesto, dall’altro diventa un punto di riferimento per chi sostiene l’eutanasia. Temi, inevitabilmente, che animeranno il confronto politico da qui a marzo.

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