Scuola, la riforma
ora è da attuare

Come c’era da aspettarsi, la riforma della scuola varata dal governo Renzi ha alimentato più contrasti che consensi. Il sistema dell’istruzione in quasi tutti i Paesi costituisce un pezzo rilevante dell’apparato pubblico, che è soggetto a modifiche ed aggiornamenti sulla base delle esigenze culturali e formative di società in continua evoluzione.

In Italia rappresenta da decenni un vero e proprio fronte di lotta politica, nel quale insegnanti, associazioni, sindacati e intellettuali misurano la loro capacità di ergersi a paladini della democrazia. Ciò ha storicamente fatto sì che ogni tentativo di riforma del settore scolastico fosse condizionato o fortemente limitato nella sua attuazione da mobilitazioni e proteste.

Ne è derivata una crescente burocratizzazione del settore, con un aumento del dirigismo centralista fatto di vincoli amministrativi e di ricorrenti circolari di improbabile attuazione. La riforma di Renzi – passata con una buona maggioranza alla Camera (277 sì e 173 no) – soffre delle ristrettezze di bilancio, ma ha il merito di aver realizzato un quadro organico anche se suscettibile di ulteriori miglioramenti, per i quali il ministro Giannini ha lasciato la porta aperta.

Questi i punti principali: la creazione di organici funzionali per evitare «classi pollaio»; un piano straordinario di assunzioni di insegnanti precari (100 mila, partendo da settembre, più 40 mila per concorso, da bandire entro dicembre 2015); 500 euro l’anno a docente per aggiornamento professionale; potenziamento delle materie di insegnamento (musica, lingue, laboratori, arte ecc.); ore di stage per gli studenti presso aziende ed enti pubblici (400 ore per gli istituti tecnici, 200 facoltative per i licei); credito d’imposta al 65% fino a 100 mila euro per chi fa donazioni a scuole paritarie e 400 euro per ogni figlio iscritto.

Oltre a quest’ultimo aspetto, esageratamente evocato da alcuni come la «fine della scuola pubblica», la riforma ha previsto l’introduzione di un modello gestionale e organizzativo che è tipico del settore privato e che è fondato su nuovi poteri attribuiti ai dirigenti scolastici e sulla valorizzazione del merito per le carriere dei docenti. Su questo punto dichiarazioni di dissenso molto marcate hanno visto uniti, come spesso oggi accade, sindacati, esponenti dell’estrema sinistra, larghi settori del centr destra e il Movimento 5 Stelle. In realtà, la scelta operata dalla riforma introduce novità delle quali la scuola aveva bisogno da tanti anni. Sarà importante, però, aver sempre presente che la scuola pubblica, a differenza di un’azienda privata, ha l’esigenza di bilanciare l’efficienza amministrativa con il rispetto della sua missione fondamentale, che è quella di formare persone libere e intellettualmente autonome.

Non vi sono in questa nuova visione della scuola i presupposti per la costruzione di un sistema autoritario e illiberale, come asserito da chi non condivide che ai dirigenti e ai presidi siano affidati importanti responsabilità. A costoro infatti è assegnato il compito di garantire, nella logica dell’autonomia concessa ad ogni singolo istituto, la corretta gestione amministrativa e l’organizzazione dell’attività didattica. Ciò comporterà, quando la riforma sarà a regime, che i presidi saranno chiamati a scegliere i docenti e a premiarli ed incentivarli secondo il loro livello di rendimento. Le loro decisioni, peraltro, dovranno essere ampiamente motivate e saranno assunte solo dopo aver sentito il parere del costituendo «comitato valutazione studenti». Insomma, sarebbe stato molto più utile che critiche costruttive si fossero concentrate sui meccanismi da porre in essere per evitare che questo nuovo carico di impegni e responsabilità dei dirigenti ricada su persone non in possesso delle competenze professionali, morali e culturali necessarie.

È possibile, infatti, predisporre misure adeguate perché una volta affermato il principio di autorità – indispensabile per il corretto esercizio di ogni attività in un sistema democratico liberale – non si dia luogo a favoritismi o a scelte inopportune. Di questi aspetti, peraltro, dovrebbero adeguatamente occuparsi i decreti attuativi, sui quali potrebbe concentrarsi l’attenzione degli attuali oppositori della riforma allo scopo di renderla più efficace e incisiva.

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