Se Boeri fa
il grillo parlante

Il grillo parlante dell’Inps Tito Boeri torna a parlare dei conti pubblici con la consueta franchezza, in occasione del convegno «Tutto Pensioni» del «Sole 24 Ore», dicendo quel che tutti sanno ma nessuno – soprattutto nel mondo politico di governo e opposizione – osa dire. E che cioè l’ultima manovra economica ha scaricato ancora una volta il debito sulle generazioni future. Naturalmente il presidente dell’Inps, che è un’economista della Bocconi, utilizza il suo gergo di professore e introduce il termine di debito pubblico «implicito», in parole povere quel che dovrà pagare in futuro lo Stato per erogare le pensioni (se non cambieranno le leggi). Il debito pubblico implicito, a differenza di quello esplicito, che riguarda il passato e abbiamo già maturato, rappresenta, come spiega Boeri «l’impegno dello Stato nei confronti dei contribuenti attuali e futuri».

Nonostante la crisi e la disoccupazione giovanile a livelli insopportabili, il governo ha «aumentato la generosità di trattamenti su categorie che hanno già fruito di trattamenti più vantaggiosi di chi li avrà in futuro». Il caso più macroscopico, aggiunge grillo parlante Boeri, è la quattordicesima data come regalo di Natale a chi percepisce una pensione fino a mille euro. Uno scandalo? Non certo per chi è vedova o single e fa fatica a tirare a fine mese. Dipende da chi la percepisce, perché il governo non si è preoccupato di tener conto della situazione complessiva della famiglia di appartenenza. L’ha data a chi ne aveva bisogno e a chi no. Se la pensionata è la moglie di un milionario o di un manager, la signora percepirà egualmente la quattordicesima, nonostante il suo patrimonio si tra i più elevati del Paese e magari la utilizzerà per comprarsi la decima borsa griffata, o qualche cena a base di caviale e champagne. In quel caso, più che di una quattordicesima, si tratta di un privilegio. Messo in conto alle generazioni future, che quel privilegio dovranno pagarli di tasca propria.

Ancora una volta Boeri continua a sgolarsi su un problema che riguarda l’Italia: quello di una redistribuzione latente di ricchezza a vantaggio degli anziani e a scapito dei giovani, che infatti percepiranno redditi e pensioni molto più basse dei loro padri. E i governi non hanno fatto molto per frenare questa redistribuzione latente. Anzi. «In Italia c’è un problema molto serio di povertà», spiega il presidente dell’Inps, poiché la fascia dei poveri sotto i 65 anni è raddoppiata, con «forti iniquità e differenze di trattamento macroscopiche anche nell’ambito della stessa generazione». In Italia non c’è equità tra generazioni. E i governi – con l’appoggio entusiastico dei sindacati, di cui la metà degli iscritti è composta da pensionati – non hanno mai visto più in là delle prossime elezioni. «Se avessimo avuto calcoli di debito implicito», ha continuato Boeri «negli anni ’60, ’70 e ’80 le baby pensioni non sarebbero state introdotte perché ci si sarebbe resi conto degli oneri pesantissimi che introducevano». Già, le baby pensioni. Introdotte nel 1973 dal governo Rumor (che vinse a mani basse le elezioni amministrative dell’anno seguente), eliminate dal governo Amato, si basavano su un decreto che permetteva di andare in pensione chi lavorava da 14 anni, sei mesi e un giorno, se donna e con figli. Tutti gli altri dovevano averne maturati 20. Ci furono mamme pensionate di 33 anni, l’età in cui oggi si cerca ancora lavoro o si fa uno stage. E naturalmente entrarono nel novero dei diritti acquisiti, dunque intoccabili. Confartigianato tempo fa fece un’inchiesta: sono in tutto oltre mezzo milione i baby pensionati, il 78 per cento del settore pubblico. Percepiscono una rendita media di 1.500 euro al mese lordi. Vista l’aspettativa di vita, incassano almeno il triplo di quanto hanno versato. Ci costano lo 0,4 per cento del Pil. Secondo le stime ci sono già costati 163,5 miliardi di euro. Il conto lo salderanno i nostri figli. È questa la «coesione sociale»?

© RIPRODUZIONE RISERVATA