Se la sinistra sconfitta
rimane a guardare

Le elezioni nel Nordreno-Westfalia hanno visto la sconfitta della Spd a vantaggio del partito di Angela Merkel. In Francia l’argine alla destra estrema di Marine Le Pen è arrivato da Emmanuel Macron, leader di un neonato partito moderato che pesca trasversalmente. Nel Regno Unito il partito conservatore ha guidato l’uscita del Paese dall’Unione europea. Avvenimenti che, al netto delle differenze di contesto e di esiti, hanno un denominatore comune: la paura dei cittadini che, nel votare, adottano la logica del meno peggio.

Elemento che, di per sé, dà conto di quanto profonde siano le lacerazioni socio-politiche che attraversano le democrazie occidentali alle prese con una crisi che sembra non trovare una via d’uscita.L’onda della paura miete le sue vittime in primo luogo tra le forze politiche che storicamente hanno incarnato i valori dell’equità sociale, sono state alla testa dei movimenti di riscatto delle classi lavoratrici, si sono battute per la difesa delle conquiste del Welfare State.

In Francia il partito socialista è alla canna del gas, nel Regno Unito langue all’opposizione dopo i «fasti» dell’epoca Blair; in Germania non riesce a ritrovare lo smalto del tempo dei grandi leader socialdemocratici. In Italia il ventennio berlusconiano sembra avere appannato inesorabilmente progettualità e capacità reale di governo di quello che era stato per quasi un secolo il più grande partito comunista dell’Occidente. Eppure, non si può negare che i partiti di matrice socialdemocratica abbiano svolto - tanto al governo quanto all’opposizione - un ruolo rilevantissimo nello sviluppo democratico del XX secolo. Ad essi si devono l’acquisizione di fondamentali diritti di cittadinanza, ma soprattutto conquiste reali riguardanti il livello dei salari, la tutela della salute, prestazioni assistenziali e coperture previdenziali sconosciute alle epoche precedenti. Un patrimonio che sembra dissipato se non addirittura compromesso.

Di fronte a un quadro siffatto non è peregrino domandarsi come sia stato possibile un declino così accentuato di formazioni politiche che avevano potuto contare su un sostegno tradizionalmente solido, resistente agli ondeggiamenti più visibili in altre forze politiche. Come sia stato possibile che la caduta più massiccia di consensi sia emersa tra le classi lavoratrici. Tre sembrano essere le falle più larghe del riformismo. La prima riguarda la poca attenzione ai valori di riferimento: l’equità sociale, le garanzie democratiche, la solidarietà. La seconda si è evidenziata nell’incapacità di arginare il liberismo che ha spazzato via molte delle conquiste economiche e di tutela giuridica ottenute nei decenni precedenti. La terza, infine, riguarda la fatale incertezza nel decifrare la modernizzazione. Le forze di sinistra sono rimaste per troppo tempo ancorate a modelli di riferimento di natura fordista. Allorché la fabbrica ha perso la sua centralità nei sistemi produttivi occorrevano chiavi di lettura nuove e strategie diverse. In ciò, la vicinanza tra partiti di sinistra e sindacati si è rivelata una palla al piede del cambiamento, poiché ha lasciato per strada i non garantiti.

In questo contesto denso di ombre, l’Italia continua a essere in bilico perenne tra speranze costantemente deluse e isterie diffuse nei confronti di «bersagli mobili» che non costituiscono la sostanza della stagnazione economica, del malcostume politico, del degrado che aggredisce le città e avvilisce la vita quotidiana. Nella lunghissima campagna elettorale, apertasi di fatto immediatamente dopo la sconfitta del sì nel referendum del 4 dicembre scorso, si fatica a scorgere nelle forze politiche di sinistra un orizzonte chiaro, una strategia fondata su un programma condiviso e praticabile, una concezione non proprietaria della politica, basata sull’etica del servizio al Paese piuttosto che sulle risse interne. Mentre la crisi economica e di valori morde i ceti più deboli e più esposti alle incertezze del futuro, il Pd e le altre forze di sinistra - come le stelle di Cronin - «stanno a guardare».

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