L’Europa, le banche
e sentenze di morte

Il crac delle quattro banche che ha portato al suicidio del pensionato Luigino D’Angelo si vedeva da lontano. Al fondo di questa storia infatti c’è un’incredibile sequela di errori, false comunicazioni al mercato, gravi perdite del patrimonio, seguite da una marea di ispezioni che si sono tradotte anche in inchieste della magistratura. Ci sono rilievi ritenuti «pesantissimi» dagli ispettori della Banca d’Italia, come la concessione di crediti «a rischio» ovvero di difficilissimo rientro. Ci sono superstipendi dei suoi dirigenti, incuranti della nave che affonda.

Ci sono trattamenti di fine rapporto per i manager fino a nove milioni di euro, anche se l’istituto ormai ha l’acqua alla gola.

L’ultimo capitolo è storia di ieri. Bankitalia mette le quattro banche in questione (CariChieti, CariFerrara, Cassa Marche e Banca Etruria) in amministrazione controllata. Nel mondo della finanza c’è un vecchio adagio: le banche non devono fallire mai. E se falliscono, come nel caso dell’Ambrosiano di Calvi, si deve agire per salvare tutto il salvabile, a cominciare dai dipendenti. Troppo importante è la linfa finanziaria all’intero sistema economico territoriale, grande o piccolo che sia. Era quello che avrebbe voluto fare la Banca d’Italia, ricorrendo per le quattro malandate banche al Fondo interbancario di tutela dei depositi. Come ha sostenuto il capo della vigilanza di Via Nazionale il ricorso al Fondo «avrebbe consentito il superamento della crisi senza alcun sacrificio per i creditori delle quattro banche».

Il Governo stava per agire, ma nella vicenda è entrata a piedi uniti Bruxelles, che ha bocciato il Fondo in quanto prevede aiuti di Stato. Per evitare favoritismi e tutelare la concorrenza, l’Unione europea non permette che vengano adoperati soldi pubblici per salvare le banche e i suoi «stakeholder». Non è più permesso il «bail-out» (salvataggio esterno) ma solo il «bail-in» (salvataggio interno, senza soldi di Stato).

A questo punto a Renzi e Padoan, dopo una serrata trattativa con il commissario alla Concorrenza Jonathan Hill, non è rimasto che approntare il decreto salva-banche secondo il modello europeo. Vengono abbattuti i crediti in sofferenza (i crediti morosi) e trasferiti in una «bad bank». Le banche «ripulite» dalle passività invece vengono messe in vendita. Il sistema bancario appronta un fondo di risoluzione al quale ritorneranno i proventi della vendita dei crediti in sofferenza e delle banche risanate. In questo modo, come vuole l’Europa, non si configura l’aiuto di Stato. Ma se i conti correnti, i depositi e le obbligazioni «senior» vengono salvaguardati, non è così per i prodotti finanziari più rischiosi, come le azioni e le obbligazioni dette «junior» o subordinate, strumenti che, in caso di difficoltà dell’emittente, prevedono il rimborso solo «in subordine» rispetto ad altri titoli. Il decreto prevede che azioni e obbligazioni subordinate (acquistate per 780 milioni di euro) diventino carta straccia. È la prima volta che i titolari di titoli subordinati subiscono un azzeramento del loro capitale. A Bruxelles non importa se ben pochi risparmiatori, che hanno acquistato quei prodotti allo sportello, sapevano del rischio cui andavano incontro. Tra questi c’era anche il pensionato di Civitavecchia che si è impiccato dopo che aveva visto andare in fumo 100 mila euro investiti in titoli «subordinati». «Ho perso i risparmi di una vita» ha scritto nella lettera di addio. Chi gli aveva consigliato l’acquisto? Possibile che nessuno gli avesse consigliato di diversificare il suo portafoglio come spiega anche l’ultimo dei consulenti finanziari?

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