Se Renzi fa accordi
a sorpresa con Grillo

Dopo alcuni giorni di sofferenze dovute alle polemiche sul cosiddetto «decreto salva-banche», Matteo Renzi ha deciso di passare all’attacco: le mozioni di sfiducia individuale al ministro Maria Elena Boschi e all’intero governo presentate dai Cinquestelle e dal centrodestra sia alla Camera che al Senato non potevano rimanere senza risposta. E così ieri il presidente del Consiglio a Montecitorio prima e a palazzo Madama poi ha sfoderato una vis polemica inusuale persino per lui, che pure non si sottrae certo alle discussioni accese, e anzi certe volte sembra cercarle. Il contrattacco è stato rivolto soprattutto contro Forza Italia e la Lega. Per quanto riguarda Forza Italia l’obiettivo di Renzi era Renato Brunetta.

L’uno e l’altro sono stati letteralmente investiti dal premier con argomenti che spaziavano dal conflitto di interessi (ma di Berlusconi, non della Boschi) all’atteggiamento dei governi del Pdl-Lega che, quando era ancora possibile dalle normative europee salvare le banche in crisi, non seguì l’esempio di Angela Merkel che sborsò centinaia di miliardi di euro per le banche tedesche ma rimase fermo. Guarda caso, sia Brunetta che la Lega di Matteo Salvini rappresentano nel centrodestra i più fieri ed accesi oppositori di ogni accordo con Renzi. Non solo contro di loro si è scagliato Renzi ma nello stesso tempo ha dato il via libera all’accordo con i Cinquestelle su un altro piano, quello dell’elezione dei tre giudici costituzionali, buttando a mare il candidato di Berlusconi, l’ex «nazareno» Francesco Paolo Sisto che non solo è un avvocato nel team legale dell’ex Cavaliere ma soprattutto è un estensore delle riforme costituzionali insieme al Pd. Si capisce l’amarezza di Berlusconi che ha dovuto constatare la scaltrezza di Renzi nel praticare la politica andreottiana dei due forni.

Per tornare alle banche. Renzi si fa un punto di forza nel dire che il decreto ha semplicemente salvato il sistema creditizio, tamponando la fiducia dei clienti e salvando i milioni di euro depositati nei conti correnti dei quattro istituti locali e le migliaia di posti di lavoro dei dipendenti. Senza quel decreto, dice ancora Renzi, per le banche italiane sarebbe stato l’Armageddon e il contagio della sfiducia si sarebbe diffuso in maniera allarmante. Dopodiché il premier ha detto sin dall’inizio che bisogna fare una commissione d’inchiesta per verificare chi ha truffato gli obbligazionisti (tacendo sui rischi che comportava la loro sottoscrizione) e ha negato qualunque favoritismo.

In effetti Pier Luigi Boschi, padre della ministra, vicepresidente della Banca dell’Etruria, fa parte della dirigenza commissariata dal governo e mandata a casa, mediante decreto, e la stessa Boschi possedeva un tesoretto di azioni per mille euro circa che sono andati in fumo. Un po’ poco per chiederne le dimissioni, mossa che semmai fa parte di una strategia «dell’ariete» delle opposizioni che cercano di utilizzare contro il governo strumenti di discredito personale prima che politico. Ora, le mozioni di sfiducia non passeranno né alla Camera né al Senato, né quella contro il ministro né quella del governo, e la questione si smonterà in poco tempo.

Quel che resterà sul campo saranno invece la promessa del governo di arrivare presto ad una riforma del sistema creditizio e magari ad una maggiore efficienza del sistema di controllo rimasto in mano nazionale e su cui più d’uno ha espresso dubbi. Questa è una cosa seria e importante su cui presto l’opinione pubblica dovrà chieder conto al governo.

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