Senza dibattito
tutti sconfitti

Adesso che la legge sulle unioni civili è stata definitivamente approvata è opportuno tornare a riflettere sulla famiglia e la sua rilevanza giuridica, economica e sociale che tutte le analisi indicano come non assolutamente marginale per la tenuta del Paese. È arrivato il tempo di tornare a ragionare di vere politiche per la famiglia, da quelle fiscali al lavoro, compresa la questione delle donne pagate meno degli uomini e la conciliazione con i ritmi familiari.

E sarebbe bene farlo con pacatezza, vista la delicatezza del tema, e senza tralasciare anche l’indicazione di un metodo che è stato sempre alla base di tutte le discussioni più importanti dalla nascita della Repubblica. Il metodo è quello della ricerca di un dialogo costante e costruttivo. È accaduto così nel corso dei lunghi mesi di scrittura della Costituzione dove ci sono stati scontri e confronti anche duri. La preoccupazione di quegli uomini - e di quelle donne – era quella di trovare il modo di condividere e di capire la ragione dell’altro per costruire un mondo più grande di quello, pur legittimo, della propria parziale visione. È esattamente questo metodo che è mancato, soprattutto nell’ultimo miglio, con la questione di fiducia, che, ha ragione il segretario della Cei mons. Nunzio Galantino, «è stata una sconfitta per tutti».

Nessuno mette in dubbio che le convivenze andavano regolate. Ma la fretta non è stata buona consigliera. Il Presidente del Consiglio ha spiegato che lo ha fatto per evitare ulteriori ritardi. E’ vero che sull’argomento si discute da anni e che sono stati scritti molti disegni di legge. Ma ciò non deve essere considerato un male. La fiducia, invece, ha sbaragliato il dialogo. Come ha avvisato ieri anche un grande quotidiano laico come il Corriere della Sera, il dispositivo approvato in fretta e furia dalla Camera lascia molte perplessità, per quanto riguarda una mole di problemi giuridici, anche di rilevanza penale: dalla bigamia che parrebbe consentita non essendoci l’obbligo di fedeltà, ma resta illegale per chi contrae matrimonio, all’aggravante per chi uccide il coniuge che sembra non applicarsi al partner dell’unione civile. Insomma si tratta di una legge che andava scritta meglio. Il dibattito parlamentare, oltre ad affrontare temi etici di natura generale con libero confronto, serve anche a migliorare la scrittura di una legge attraverso gli emendamenti.

Sicuramente non sempre accade, ma ciò non significa che la logica degli emendamenti debba essere gettata alle ortiche «per evitare ulteriori ritardi». Oggi la legge c’è e nemmeno serve lanciare invettive contro il governo Renzi del tipo «ce ne ricorderemo al referendum» perché non si fa un buon servizio alla famiglia. E nemmeno è opportuno invocare barricate di manipoli di sindaci disobbedienti. L’obiezione di coscienza è un bene, ma è cosa diversa, in punta di diritto, dalla disobbedienza civile. Il punto centrale è se la legge apra o no al «piccolo matrimonio» e quindi sia in contrasto con l’art.29 della Costituzione. Il nostro ordinamento garantisce la verifica con l’impugnazione davanti alla Corte Costituzionale.

Altro è il ragionamento politico. Sicuramente in questa legge c’è qualche rischio di confusione su un matrimonio parallelo, poiché dà rilievo giuridico alla volontà e non al semplice riconoscimento, anzi alla certificazione come avveniva per i Dico, di situazioni di fatto già esistenti. È la fretta ad aver generato in questi mesi la confusione, questione che anche il Papa, due mesi fa, ha invitato a considerare e ad evitare come buona pratica per una buona legge.

© RIPRODUZIONE RISERVATA