Sgombero a Roma,
la politica assente

Li avevano sgomberati il 19 agosto dal palazzo vicino alla stazione Termini, che abitavano dai tempi del Giubileo straordinario del 2015: 400 richiedenti asilo, tra i quali molti eritrei, quindi già con lo status di rifugiati politici. Sgomberati, per venire incontro alle esigenze della proprietà del palazzo, senza che fosse stato predisposto un piano di sistemazioni alternative. Solo a 100 persone in condizioni di fragilità, tra i quali molti bambini, era stato concesso di restare provvisoriamente dentro l’edificio. Gli altri in queste cinque notti hanno scelto di accamparsi nei vicini giardini di piazza Indipendenza.

Ieri mattina all’alba è arrivato lo sgombero anche da questa sistemazione di fortuna. «Hanno sgomberato gli sgomberati», ha titolato con amarezza e ironia il sito de l’Internazionale. Ci sono stati anche episodi di violenza che hanno portato l’esasperazione alle stelle.

Perché si è arrivati ad una situazione limite come questa? Una prima risposta viene da un piccolo dettaglio: ieri Laura Baldassarre, l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Roma non era presente né, da quanto testimoniato, era raggiungibile al telefono. Anche in queste circostanze, dunque, la giunta capitolina guidata da Virginia Raggi, con la sua latitanza, ha confermato il proprio trend fallimentare. Infatti il piano alternativo predisposto prevedeva 80 posti in un centro di accoglienza del servizio Sprar (Servizio per richiedenti asilo e rifugiati) a Torre Maura e un’altra ottantina a Rieti per sei mesi; 160 posti per 400 persone: tra l’altro molti degli occupanti non potrebbero beneficiare dei posti Sprar in quanto hanno ottenuto l’asilo politico da oltre sei mesi. Per completezza di cronaca, Laura Baldassarre, che tra l’altro ha alle spalle una lunga esperienza in Unicef, ai tempi di un altro sgombero celebre, quello di Ponte Mammolo (il gruppo di baracche dove una volta si era fermato a sorpresa Papa Francesco) aveva proclamato che non si sarebbero mai più ripetute situazioni come quella «senza un piano di emergenza prima di uno sgombero».

Il disastro del sistema di accoglienza romano è testimoniato anche dal fatto che attualmente nella capitale risiedono meno richiedenti asilo rispetto a quelli stabiliti dall’accordo Stato-Regioni: nei centri oggi ci sono circa 8.500 persone contro le 11 mila previsti dall’Anci. È vero che altre 9mila persone vivono in stabili occupati o all’aperto, tuttavia per una città di quasi 3milioni di abitanti si tratta di percentuali davvero ridotte. È quindi proprio l’assenza dell’amministrazione che sta causando l’esplodere di queste situazioni drammatiche. Un’assenza che si origina nel populismo di fondo di un movimento come i 5 Stelle, che da qualche mese a questa parte ha virato decisamente su posizioni anti migranti. Così il tema dell’accoglienza è stato spostato populisticamente nell’ambito dell’ordine pubblico. Non a caso ieri sulla facciata del palazzo sgomberato era stato affisso uno striscione che diceva «Siamo rifugiati, non terroristi». Le conseguenze inevitabili sono i fatti accaduti ieri a Roma, con l’intervento degli agenti in tenuta antisommossa e con incidenti e scontri che hanno coinvolto anche donne, bambini e disabili.

Si tratta di un gruppo di persone di due sole nazionalità (etiopi ed eritrei), abbastanza coeso, secondo il prefetto infiltrato da militanti del Movimento per la casa che li hanno convinti a rifiutare le soluzioni proposte. Soluzioni per altro numericamente insufficienti. Alla fine, inevitabilmente, il capro espiatorio della situazione diventano le forze dell’ordine, costrette ad affrontare situazioni degenerate, per la latitanza di un’amministrazione che giorno dopo giorno si rivela sempre più drammaticamente inadeguata a tenere le redini di una città come Roma, nella situazione di Roma oggi.

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