Sindacati e imprese
al tempo della crisi

Finita la tregua, dal 1° settembre si riapre il confronto tra imprese e sindacati in termini, si spera, non stancamente rituali. Tra gli effetti collaterali della crisi economica, c’è il concetto stesso di contratto di lavoro. La deflazione ha reso meno urgente la necessità di recuperare il valore dei salari facilitando in negativo blocchi e rinvii, e aprendo in positivo un dibattito più serio sull’importanza delle componenti non salariali. È la via alla nuova contrattazione di cui parla Gigi Petteni, segretario Cisl.

Nel pubblico impiego, i contratti non sono stati rinnovati da ben 7 anni, ed è intervenuta una pronuncia della Corte Costituzionale per dire che così non si fa, è contro il principio dell’equa remunerazione. Il governo, che è il più grande datore di lavoro del Paese, ha provveduto stanziando una cifra di 300 milioni, un numero messo chiaramente a caso, perché ben altre sarebbero le esigenze degli oltre tre milioni di dipendenti pubblici sotto blocco. Il calcolo del sindacato arriva a 7 miliardi ed è chiaro a tutti che questi soldi di spesa corrente proprio non ci sono. Al massimo, si può arrivare a 1,5 miliardi.

Non si può pensare a nuovi blocchi, anche se non risulta che gli statali siano morti di fame in questi 7 anni in cui gli aumenti del costo della vita sono stati piú bassi che mai. Ma il responsabile Cisl del pubblico impiego, Bernava, ha comunque calcolato una perdita cumulativa di circa 150 euro al mese. Nel campo privato, dove sono 9 milioni i lavoratori in attesa, su 37 contratti scaduti nel 2015 ne sono stati chiusi solo 8. Mancano i tessili, l’edilizia, l’editoria e soprattutto il milione e mezzo di metalmeccanici, per i quali il confronto riprende partendo dalla proposta di Federmeccanica di aumenti zero, e massima apertura, invece, su temi come il welfare e altre provvidenze.

È certamente la nuova frontiera del contrattualismo, che deriva da un diverso approccio culturale al concetto di lavoro dipendente, dopo l’esperienza devastante del precariato e il riconoscimento della mancata tutela di chi non ha nemmeno quello.

È la strada che abbandona gradualmente la mistica del mega contratto di categoria, incoraggia la soluzione del caso per caso a livelli aziendali. I contratti quadro devono garantire che certe norme basilari di equilibrio consentano di evitare i passi indietro verso forzature e sfruttamenti. Ma, poi, tutto il resto può seguire la logica mutevole di un’economia profondamente trasformata.

Appartiene a questa svolta l’ispirazione del jobs act, quando incoraggia e sovvenziona la stabilizzazione crescente dei rapporti, in cambio di una sintonia tra l’interesse del lavoratore alla sicurezza e quella dell’impresa alla continuitá della forza lavoro.

Un sindacalista dimostratamente aperto all’innovazione come il leader Cgil di Bergamo, Luigi Bresciani, non la pensa così, e sui profili social accusa addirittura di spreco di denaro pubblico l’agevolazione fiscale che ha prodotto 1,4 milioni di rapporti indeterminati il primo anno (ma ridimensionandosi fortemente il secondo anno). È peró lo stesso errore enfatico di Renzi quando riduce tutto a numeri. La riforma va infatti giudicata per il cambiamento che può introdurre nella relazione di fiducia tra imprese e lavoro. Il suo fallimento eventuale sará misurabile solo se i contratti dovessero essere cancellati alla fine ciclo, «profittando» della modifica dell’articolo 18. Ma che razza di imprese sarebbero quelle che facessero un calcolo prendi e fuggi del genere? Anche questo è possibile, ma il sindacato è fondamentale in vigilando, così come è chiamato ad un ruolo protagonista nell’attuazione della fase due del jobs act, quella che parte sempre a settembre con il via del Naspi, la copertura cioé della disoccupazione, la messa alla prova dell’Agenzia per le politiche attive del lavoro, e dei Centri pubblici per l’impiego, fine auspicabile di un assetto burocratico che è responsabilitá anche sindacale. Ci sono, secondo l’Istat, almeno 40 mila posti di lavoro offerti dalle imprese che non trovano riscontri. È questo il vero spreco. Vedremo in autunno Confindustria e sindacati a questa grande prova di maturitá? O sará solo una stagione di scioperi?

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