Sinistra in tempesta
Nostalgia Ulivo

Fino all’apertura delle urne era sembrato che il passaggio delle amministrative, non a caso snobbato sia da Renzi che da Berlusconi, dovesse essere presto derubricato come un semplice adempimento istituzionale, senza nessuna significativa implicazione politica. Invece, tanto modesto è stato il campione elettorale coinvolto, quanto destabilizzante è risultato l’impatto politico. Tutti gli attori sono stati costretti a ripensare ruolo, strategia, alleanze. Non sarà vero che Salvini e Casaleggio abbiano avuto un rendez vous segreto, ma già il fatto che la notizia sia credibile la dice lunga: ciò che alla vigilia del voto non era nemmeno ipotizzabile, ora pare più che verosimile.

Ad un M5S che fa il verso alla Lega sul tema caldissimo dell’immigrazione fa pendant una sinistra finita in gran tempesta, stretta tra l’ipotesi del «partito a vocazione maggioritaria» (in soldoni, con Renzi uomo solo al comando) e quella dell’Ulivo (in parole povere, di una coalizione larga, senza confini a sinistra).

Dicevamo di una sinistra finita in gran tempesta, e ci sembra a ragione, perché la scelta che essa è chiamata a compiere non è per nulla accademica, ma irrevocabilmente traumatica. Sarà difficile, infatti, che alla resa dei conti non si debbano contare molti naufraghi.

Se qualcuno finirà in mare, chi resterà alla plancia di comando non sarà comunque in grado di realizzare il suo progetto. Si può anzi affermare che le due proposte in gioco (per come sono state impostate) siano destinate a risultare impraticabili. Renzi lega il suo destino alla costruzione del «partito del leader», esattamente quanto sono determinati a scongiurare i fautori di un nuovo Ulivo. Peraltro, anche ammesso che il baldo giovane di Rignano riesca a far prevalere la sua impostazione, si ritroverà prigioniero dell’isolamento politico in cui s’è cacciato.

Senza l’appoggio dei gruppi posizionatisi alla sua sinistra, è illusorio il superamento della soglia del 40 per cento, utile a conquistare la maggioranza assoluta alla Camera, l’unico dei due rami del Parlamento in cui la legge lo preveda. Pagherà a quel punto a caro prezzo di avere fatto il vuoto intorno a sé, rompendo addirittura con i suoi alleati di governo, i centristi di Alfano. Non meno impedita risulta la proposta, o meglio le proposte avanzate dalle sparse membra della sinistra. In questo campo, diviso un po’ su tutto, in particolare sul tema dei rapporti da istituire col Pd, l’unico punto d’intesa resta l’ostracismo di Renzi. In buona sostanza, si intende costruire un campo largo che raccolga tutte le anime del mondo progressista – ex comunisti, ex e neo socialisti, cattolici democratici, verdi, ambientalisti, freschi adepti di Corbyn e di Melenchon – con una sola eccezione, appunto il Pd di Renzi. Come si possa costruire un campo largo senza renderne partecipe la maggiore forza, resta un mistero.

Ma forse il veto opposto al segretario del Pd serve loro soprattutto ad alzare una bandiera di aggregazione della sinistra dispersa, possibile spina nel fianco di Renzi nel futuro Parlamento, con la speranza di riuscire, prima o poi, a farlo desistere. Le ostilità sono aperte e nessuno dei due contendenti pare disposto ad abbassare le armi prima di avere sopraffatto l’avversario. A meno che non riesca a ristabilire la pace un qualche uomo della Provvidenza. Facciamo un nome: Prodi?

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