Tasse, la resa dello Stato
e l’aumento dell’Iva

Il nostro governo si prepara a «fare cassa». Come accaduto spesso in passato, lo fa in un modo un po’ goffo, raschiando il fondo del barile. Cerca di racimolare un po’ di soldi con la rottamazione delle cartelle esattoriali e con la rottamazione, attualmente in fase di studio, anche dei contenziosi tributari. Nulla di nuovo, in realtà. Lo Stato ha alzato bandiera bianca diverse volte già in passato. La nostra triste storia fiscale è costellata di condoni più o meno «tombali», di rottamazioni, di rimpatrio agevolato dei fondi detenuti illecitamente all’estero, di condoni di natura edilizia e penale. L’effetto sociale (e se vogliamo, economico) di tutto questo è, manco a dirlo, drammatico. Sì, perché ci sono fondamentalmente due tipi di contribuenti interessati a queste manovre.

C’è il contribuente leale, che paga sempre tutto ma che, per qualche particolare motivo, non riesce a far fronte alla quotidianità fiscale. Si tratta ad esempio del soggetto che ha aperto la partita Iva sperando in un futuro migliore, convinto della propria idea imprenditoriale ma che, purtroppo, non è andata come da previsioni. Non sempre basta la buona volontà, specie in periodi bui come questo. Questo contribuente probabilmente non riuscirà nemmeno ad affrontare l’esborso nei termini imposti dalla norma, non particolarmente vantaggiosi, semplicemente perché sta tirando la cinghia per sopravvivere, soprattutto se ha una famiglia da portare avanti.

E poi c’è il contribuente che potremmo definire «borderline», quello che i soldi li ha ma preferisce spenderli in altro modo, magari vivendo al di sopra delle proprie possibilità; non li usa per pagare le tasse perché per «pagare e per morire c’è sempre tempo». Questo contribuente non è necessariamente un evasore «in senso classico», ma di certo è un furbo e conosce bene il suo «pollo», perché sa che prima o poi qualche condono arriva.

Il fatto è che queste norme non fanno distinzioni tra buona e mala fede. Di fronte alla rottamazione delle cartelle esattoriali, cioè allo Stato che di fatto si arrende e rinuncia a quando gli è dovuto, il primo contribuente potrà – forse e con grande fatica - tirare un respiro di sollievo, mentre il secondo sorriderà – sicuramente – in modo beffardo. L’avrà vinta lui, non lo Stato. Quest’ultimo dimostra, ancora una volta, la sua inefficienza, mettendo le pezze ad un sistema fiscale che funziona male e che, nonostante gli annunci che si ripetono negli anni, non viene riformato in alcun modo.

Non dobbiamo inoltre dimenticarci che stiamo vivendo in periodo storico particolare. La nostra economia è stagnante e dobbiamo fare i conti con i rigidi paletti imposti dall’Unione Europea. Si rendono necessarie misure di lungo periodo, non politiche «mordi e fuggi», da condono. Il premier Gentiloni ha recentemente dichiarato che gli interventi in fase di studio non avranno riflessi recessivi; in sostanza si afferma che tali interventi non ridurranno i consumi, che sono il vero motore dell’economia. Ma sorge il legittimo sospetto che non sarà proprio così. A fronte del fatto che lo Stato condona, e dunque rinuncia a una parte degli introiti cui avrebbe diritto, si parla infatti di un probabile aumento dell’aliquota Iva - dal 10 al 13 % - e viene da chiedersi come questa mossa non possa incidere sui consumi. L’Iva al 10% viene applicata, infatti, su una grande quantità di prodotti alimentari e su interventi edili di vario genere: la nostra vita di tutti i giorni, specie la spesa per pranzo e cena.

Se pensiamo poi che è tutt’ora in programma l’aumento dell’Iva dal 22 al 25%, e un probabile e repentino aumento delle famigerate accise sui carburanti, ecco che si delinea un quadro da un lato pauroso per il nostro portafogli, e dall’altro disastroso per l’economia del nostro Paese. Confesercenti ha recentemente calcolato che il solo aumento delle aliquote Iva porterebbe a una perdita di 8,2 miliardi di euro di consumi, impattando negativamente sul Prodotto Interno Lordo per circa 5 miliardi di euro.

Insomma, l’ennesima dimostrazione che siamo alle prese con la classica «coperta corta»: si incassa da una parte, ma mettendo in atto misure economiche che tagliano il ramo su cui si è seduti. In verità manca una sana politica economico-fiscale di lungo periodo. Come sempre in Italia si tappa il buco in attesa di tempi migliori. Che però, al momento, non si intravedono affatto.

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