Tra Usa e Germania
non scorre buon sangue

Gli americani non amano i tedeschi e vogliono ridurre la loro egemonia economica. Un sentimento ricambiato. Il punto di svolta è il 2013 quando la Germania scopre che il cellulare di Angela Merkel è intercettato dai servizi segreti americani. A rivelarlo non sono gli 007 tedeschi ma la talpa del Nsa Edward Snowden. Da quel momento appare chiaro che i rapporti sono mutati. L’America non è più solo la potenza protettrice ma un concorrente dal quale guardarsi.

Lo scandalo rivela le diffidenze verso una Germania potenza egemone in Europa in grado di oscurare il primato Usa. La gestione della crisi finanziaria dal 2008 in poi ha segnato due modi di procedere che sono conflittuali e hanno portato anche durante la presidenza Obama a forti divergenze con Berlino. È dal 1998 con la sconfitta di Helmut Kohl e l’ascesa al cancellierato del socialdemocratico Gerhard Schröder che le vie in politica estera di Germania e America si dividono. Angela Merkel non ha fatto altro che continuare sulla strada intrapresa dal suo predecessore ed estendere le diversità di vedute anche alla finanza e all’economia.

Gli americani negli anni passati hanno investito nella finanza e trascurato la manifattura con il risultato di favorire la delocalizzazione e aumentare le importazioni. Di questo hanno approfittato i tedeschi con accordi internazionali favorevoli al libero mercato e quindi vantaggiosi per chi ha, come loro, un’industria competitiva. Gli altri che hanno tratto profitto dalla situazione sono i Paesi a basso costo di manodopera e con costi di produzione molto bassi rispetto alle economie mature dell’Occidente. Da qui la tenaglia che avvolge gli Stati Uniti da una parte la Cina e i Paesi di recente industrializzazione e dall’altra l’Europa dietro le mentite spoglie della Germania. Non a caso il presidente Donald Trump, in occasione della visita ufficiale a Washington di Emmanuel Macron ha ribadito che con i francesi non ci sono contenziosi commerciali. Il problema è la Germania e la Commissione Europea che ha eretto, a suo dire, barriere commerciali che danneggiano i prodotti americani. Che vi siano degli squilibri nelle imposizioni doganali fra i due Stati è stato riconosciuto anche dal presidente francese. Ma il tutto assume contorni schizofrenici perché Parigi fa parte dell’Unione Europea. Questo differenziarsi soddisfa la grandeur francese e permette a Macron di evidenziare il suo ruolo di attore principale sulla scena europea ma al contempo fa il gioco di Trump che mira a dividere l’Unione Europea e isolare la Germania. La verità è che gli anglosassoni hanno scoperto dagli inizi degli anni duemila che il loro potere nel mondo stava diminuendo e che non potevano contare più sulle sinergie di quelli che erano sempre stati i loro alleati, gli europei e la Germania in particolare. Troppo piccola per essere un pericolo ma con un’industria troppo grande per non influenzare le loro economie.

La Brexit è il frutto di un pericolo percepito, la grande alleanza tra Parigi e Berlino che oscura le ambizioni di chi ha vinto due guerre mondiali e non vuol perdere la terza. La partita che si sta giocando è tra i Paesi che hanno patito la globalizzazione e quelli che si ripromettono di trarne il massimo vantaggio. Non è un caso che la Germania trovi nella Cina un fido alleato commerciale. Entrambi hanno interesse a difendere il libero mercato senza imposizioni doganali. L’oltranzismo liberista in un mondo globalizzato porta i nuovi arrivati ad aspirare all’egemonia mondiale. La Germania ha potuto sinora mimetizzarsi ma gli interessi di Berlino sono ora troppo eclatanti per nascondere il prepotere della grande industria tedesca.

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