Ucraina, due vie per la diplomazia

È una calma solo apparente, forse quella che precede una nuova tempesta. I russi riorganizzano la catena di comando, ammassano truppe al confine Sud con l’Ucraina e minacciano di colpire i palazzi istituzionali delle città ucraine se altri missili colpiranno il territorio della Federazione. Gli ucraini raccolgono armi, dai soli Stati Uniti arriva una decina di voli al giorno, poi smistati via terra e via ferrovia attraverso la Polonia, e tessono instancabili la tela della solidarietà e dell’aiuto internazionale. Ma tutti notano che il fronte vive una fase di rallentamento delle operazioni, forse con la sola eccezione di Mariupol’, dove i russi pian piano soffocano le residue sacche di resistenza. Forse proprio per questo hanno ripreso quota il dibattito politico e l’attività diplomatica.

Emmanuel Macron, pur impegnato nella campagna per la rielezione, trova modo per ribattere a Joe Biden, che parla di genocidio russo in Ucraina. Macron dice il suo no all’escalation delle parole, espressione che serve soprattutto a ribadire la distanza tra i Paesi che vorrebbero la pace al più presto, anche chiedendo a Zelensky e ai suoi qualche rinuncia finale, e quelli, come di certo gli Usa, che vogliono una chiara vittoria dell’Ucraina e una ancor più chiara sconfitta della Russia, forse anche al costo di un prolungamento del conflitto. Alla fin fine, è lo stesso problema che ha portato all’incredibile vicenda dell’annullamento della visita a Kiev del presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, di fatto dichiarato «persona non grata» da Zelensky. A Steinmeier la dirigenza ucraina rimprovera un passato di buoni rapporti con la Russia e con Vladimir Putin, cosa che peraltro potrebbe essere rimproverata a molti altri leader, tra i quali anche il turco Erdogan, che ha comprato sistemi anti-aerei da Mosca e ora fornisce droni a Kiev. La sostanza è più sottile e assai più politica. Steinmaier era il ministro degli Esteri della Germania che con la Francia (guarda caso) nel 2015 si fece garante degli Accordi di Minsk, mai rispettati né da Russia né da Ucraina e rinnegati da Zelensky, perché considerati troppo favorevoli a Mosca, già molto tempo prima dello scoppio di questa guerra. Ed è il presidente di una Germania che fornisce armi all’Ucraina senza mostrare troppo entusiasmo e che, soprattutto, esita nel procedere sulla strada delle sanzioni contro le importazioni di gas e petrolio dalla Russia.

Come dicevamo in un precedente articolo, il tema è molto più complicato di così. L’Europa importa 155 miliardi di metri cubi di gas russo l’anno, e la Germania da sola vale 55 miliardi. Berlino esita adesso per la stessa ragione per cui, in passato, fece di tutto per garantirsi i gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2: perché il suo poderoso sistema produttivo ha fame di energia sicura e a buon prezzo, com’è (com’era?) appunto il gas russo. Il «caso Steinmeier» è stato sollevato non tanto per punire un politico che da ministro degli Esteri fece null’altro che difendere gli interessi del proprio Paese ma per pungolare gli Stati europei, dall’Austria alla Repubblica Ceca, dall’Ungheria appunto alla Germania, che sulla questione dell’energia russa fanno orecchie da mercante.

La svolta vera, invece, sta per arrivare da Svezia e Finlandia, Paesi per decenni orgogliosi della propria neutralità e oggi invece impegnati in una vera corsa per diventare membri dell’Alleanza Atlantica, cui peraltro erano da tempo legati da un’intensa partnership. La Svezia della premier Magdalena Andersson vorrebbe completare il percorso entro giugno (il 29 e 30 di quel mese è previsto un vertice Nato a Madrid), la Finlandia della sua collega Sanna Marin entro l’estate. Decisioni prese sull’onda di una radicale svolta dell’opinione pubblica dei due Paesi, che per dirla in termini sbrigativi ma efficaci ora ha paura della Russia. La Andersson l’ha detto in modo più politico, senza cambiare la sostanza: «C’è un prima e un dopo 24 febbraio», il primo giorno dell’invasione russa dell’Ucraina.

La Nato, com’è ovvio, ha già detto sì con entusiasmo. E in particolar modo per la Finlandia, il passo potrà produrre conseguenze importanti. Il Paese ha con la Russia un confine di 1.340 chilometri, grazie al quale l’Allenza atlantica arriverà molto più vicina di prima a zone strategiche della Russia e a installazioni militari decisive, come le basi missilistiche della regione di San Pietroburgo o quelle dei sommergibili nucleari di Murmansk. La stessa prospettiva che i russi volevano evitare in Ucraina, prima riannettendo la Crimea nel 2014 e lanciando l’invasione un mese e mezzo fa. Non a caso i più pessimisti, pensando alla Finlandia e notando il rafforzamento delle guarnigioni russe, temono addirittura l’apertura di un secondo fronte.

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