Un taglio del nastro
simbolo di rinascita

«Ci siamo innamorati del posto e delle persone che, piangendo, ci hanno raccontato la storia di questa fabbrica». Sono le parole di Stefano Cecconi, il giovane amministratore delegato di Aruba. Le ha pronunciate ieri, all’inaugurazione del più grande data center che ci sia in Italia. E sono la fotografia migliore di ciò che significa per Ponte San Pietro e per tutta la Bergamasca la rinascita dell’area ex Legler. Quello di ieri è stato infatti un taglio del nastro dal valore ltamente simbolico.

È il riscatto di un territorio che in silenzio si è leccato le ferite di una crisi impietosa: c’erano ancora 360 persone operative nello stabilimento bergamasco quando, nel 2008, il colosso tessile fermò le macchine. Centinaia di posti di lavoro persi, qui come in altre aziende cadute in provincia nelle stagioni più dure della recessione.

A nove anni da quel drammatico stop, e 140 anni dopo l’avvio della produzione tessile voluta vicino al fiume Brembo dalla famiglia svizzera Legler, oggi una «tessitura» di reti informatiche prende il posto dei telai che sfornavano milioni di metri di denim e velluti e la fibra ottica rimpiazza i filati di cotone. È l’economia digitale che scrive pagine nuove là dove l’industria tradizionale ha alzato bandiera bianca. E questo è il secondo aspetto emblematico del cambiamento epocale che si sta vivendo nei capannoni di via San Clemente rimessi a nuovo. Produrre, in questo caso servizi ad alta tecnologia, non è passato di moda. Sono diversi i contenuti, le tecnologie, le competenze, le professionalità. Resta immutata invece, al pari di altre belle storie d’industria che conosciamo anche sul nostro territorio, la passione.

Quella di Aruba è infatti prima di tutto la storia di una famiglia che ci crede e ci mette del suo, investendo: toscani di Arezzo, ma già molto bergamaschi. È la storia di intuizioni nate sì e no vent’anni fa nei primi esperimenti in casa. Quel pezzetto di nastro tricolore stretto tra le dita dalla presidente Susanna Santini come ricordo prezioso del nuovo inizio dice tutto l’orgoglio per la strada fatta e per quella che ancora ci sarà da fare. Ed è interessante notare come in anni di globalizzazione, grandi numeri, multinazionali e finanza spinta, il nuovo riparta proprio dalle radici: una famiglia di imprenditori, l’acqua utile non più per raffreddare i telai ma i server, la disponibilità di energia, la cultura del lavoro e le persone capaci di concretizzarla al meglio, dal manutentore all’ingegnere informatico.

Sono le basi e non ci mancano. Questo non può che farci guardare con fiducia al futuro. Abbiamo gli strumenti per continuare a essere una provincia che ha molto da dire sul piano economico e produttivo. Possiamo rigenerare imprese e lavoro. Era già successo con la reindustrializzazione dell’area ex Comital a Nembro ad opera della Persico e il percorso è avviato perché possa accadere presto con l’ampliamento della Cms di Zogno negli spazi dell’ex Manifattura di Valle Brembana. Iniziative private che l’amministrazione pubblica, come accade, può agevolare con risposte rapide e iter snelli.

Così, dopo tanti «funerali», c’è da augurarsi di assistere ancora in tempi brevi ad altri «battesimi» come quello di ieri. Chi ha bisogno e voglia di investire c’è. Il territorio, dal canto suo, non può che continuare a mostrarsi ricettivo e tenere vivo l’humus che ci rende adatti a costruire storie di lavoro di successo, investendo in infrastrutture, fisiche e non, utili alle imprese e alle loro necessità di crescita e innovazione e in politiche di formazione adeguate a intercettare al volo i bisogni e le sfide di un’economia nuova. Il manifatturiero, nell’accezione più ampia del termine, per fortuna nostra non è morto: ha «solo» cambiato traiettoria.

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