Unione civile vincente
tra Renzi e Grillo

Il disegno di legge che regolamenta le unioni civili ha superato in Senato il primo scoglio, certamente molto insidioso. Una larga maggioranza, in cui il M5S ha trovato una sua collocazione determinante, ha infatti respinto la richiesta (Quagliariello-Calderoli) di non passare all’esame degli articoli e di rinviare il testo in Commissione, dove peraltro non è stato discusso, come lamentano i senatori pronti a lamentarsene davanti alla Corte Costituzionale.

Con 195 no e solo 101 sì alla richiesta, si è dunque saldamente insediata a palazzo Madama un’inedita maggioranza «variabile», diversa da quella che sorregge il governo, che intende portare a compimento l’approvazione del disegno di legge così com’ è, salvo le due modifiche concordate e richieste dal Quirinale per una questione di costituzionalità (cancellazione dei riferimenti alle norme sul matrimonio e rafforzamento del ruolo del giudice nella adozioni del figlio del partner). Questa maggioranza così ampia si è avvalsa anche della decisione (contestata vivacemente) del presidente Piero Grasso di non ammettere il voto segreto sulla prima determinante votazione.Chi vuole, ora gioisce; altri invece vedono nero. Certo l’impresa di chi cerca di contrastare in tutti i modi possibili il provvedimento si è fatta più difficile: i numeri sono lì a dimostrare che l’area del dissenso «di coscienza» non è in grado di insidiare il cammino della maggioranza dei senatori. E anche se sull’adozione del «configlio», come suggerisce di chiamarlo l’Accademia della Crusca, quei numeri dovessero assottigliarsi, resterebbero comunque maggioritari. Ma non tutto è già deciso, anzi.

Lo dimostrano innanzitutto le forti tensioni all’interno del Pd. Nel partito del premier una consistente minoranza, dal profilo prevalentemente catto-democratico, ha chiesto libertà di coscienza su molte questioni aperte, soprattutto quelle legate alla cosiddetta «Stepchild Adoption»; la risposta dei vertici del gruppo parlamentare è stata così avara – libertà di coscienza limitata a tre soli emendamenti – tanto da provocare un’accesa discussione interna che non potrà non avere conseguenze in aula.

Inoltre non è stata ancora trovata la via d’uscita per evitare che le migliaia di emendamenti presentati dal fronte del no pesino sulle votazioni, moltiplicando le insidie per i promotori della regolamentazione. Insomma, le varianti politiche di questa vicenda sono ancora in gran parte da valutare benché il primo voto abbia fatto alzare la bandiera della vittoria al fronte del sì. Non è un caso che non ci si precipiti a votare: solo martedì prossimo si entrerà nel vivo e forse lo scrutinio finale potrebbe arrivare addirittura in marzo, dopo la conversione in legge del decreto «Milleproroghe».

Prudenza, insomma, e piedi di piombo per tutti. Per Renzi innanzitutto, che deve portare a casa il risultato che si è prefissato senza danni per il governo e nemmeno per il Pd. Per farlo il premier-segretario si è attestato su una doppia presa di posizione: primo, sì incondizionato alla regolamentazione delle unioni civili tra omosessuali; secondo, no inappellabile all’utero in affitto. Quanto al tema adozioni, Renzi dice: non è un elemento centrale, non c’è nessuna apertura indiscriminata alle adozioni da parte delle coppie gay. Una posizione abile che recupera almeno in parte le ragioni dei dissidenti all’interno del suo partito e della maggioranza - ma senza riuscire a coprirle politicamente.

Il dividendo politico dell’operazione «unioni civili» insomma non può ancora essere calcolato da nessuno. E potrebbe rivelare delle sorprese.

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