Università occasione
di conoscere il mondo

li slogan fanno sempre breccia. E non è quindi un caso che godano di ampio uso nella pubblicità e nella politica. Basta trovare la frase incisiva e sintetica e l’effetto di solito è immediato, anche se poi la realtà o il fenomeno che intende riassumere è qualcosa che difficilmente si lascia imprigionare in termini così semplicistici. Insomma, gli slogan stanno diventando un pericoloso modo di pensare per frasi fatte. E quando si parla dei giovani di oggi se ne possono riempire intere antologie: «i giovani di oggi sono demotivati e apatici», «i giovani di oggi sono superficiali», «i giovani di oggi sono cinici», «i giovani di oggi sono disinformati», ecc. ecc. Slogan, frasi fatte, appunto. Che finiscono però per darci dei giovani un’immagine stereotipata, se non addirittura distorta.

Un’immagine inoltre che serve spesso per far ricadere su di loro responsabilità che non possono avere, per la semplice ragione che sono appunto giovani, persone cioè in formazione, e devono dunque essere messi nelle condizioni di avere delle opportunità. Opportunità concrete che, senza nascondere le difficoltà della vita, li aiutino a proiettarsi verso il futuro con fiducia e generosità. Opportunità che devono essere offerte soprattutto nei luoghi preposti alla loro crescita culturale e professionale: la scuola e l’università.

Ed è proprio qui che sta la vera difficoltà. Perché purtroppo i nostri giovani non sempre riescono a cogliere le opportunità pensate per loro. O, meglio, non sono abituati a farlo. Certo, voglio essere sincero, in parte la responsabilità è anche del sistema scolastico-universitario, a volte troppo schiacciato sui programmi e sulle prove d’esame. Ma la scuola e l’università, per fortuna, non sono soltanto questo. E sarebbe un gravissimo errore considerare questi laboratori di cultura e di crescita civile come semplici luoghi di approdo. Soprattutto le università, infatti, non sono che l’inizio di un viaggio: di conoscenza, di incontri e di orizzonti tutti da esplorare.

Attenzione, non sto parlando in astratto. Parlo di cose concrete e alla portata di tutti i giovani che intraprendono l’università per laurearsi e per trovare un lavoro che possibilmente rispecchi il loro percorso di studio. E per rimanere sul concreto, voglio portare come esempio una piccola ma significativa esperienza recente, che mi riguarda da vicino e che fa capire bene ciò che intendo dire. L’altro giorno ho ricevuto una e-mail da una ragazza che ha completato gli studi nella nostra università. Un’e-mail davvero inconsueta, poiché a volte ricevo segnalazioni e lamentele ma riferite a cose che non funzionano (sia chiaro, le critiche sono sempre legittime e vanno benissimo: sono un modo per aiutare un Ateneo a migliorarsi e ad «aggiustare il tiro»). Questa e-mail invece era di ringraziamento, un ringraziamento particolare. Che non riguardava soltanto il fatto che grazie alla laurea nella nostra università la ragazza ha ricevuto un’offerta di lavoro e ha iniziato a lavorare nel settore relativo ai suoi studi. Quel ringraziamento era anche, ed è ciò che più mi preme sottolineare, per aver avuto «la possibilità di godere di numerose opportunità offerte dall’Università e dai programmi internazionali». Programmi cioè che consentono di andare all’estero in altre sedi universitarie con cui il nostro Ateneo ha stipulato molteplici convenzioni, imparando nuove lingue o perfezionando quelle che già si conoscono. Programmi, soprattutto, che sono occasioni di nuove esperienze, di interscambi culturali, per aprirsi al mondo e per confrontarsi con altre realtà, ritornando arricchiti e rinnovati nello spirito.

Opportunità, occasioni: ecco il modo virtuoso con cui le giovani generazioni devono affrontare l’esperienza universitaria. Un’esperienza cioè che deve trasformarsi in un viaggio pieno di «conoscenze e di avventure», come recitano i versi della splendida poesia Itaca di Kavafis. Proprio così, perché l’università come l’Itaca del grande poeta greco, può donare ai nostri ragazzi «il bel viaggio», fatto delle sole ricchezze che contano, quelle che si sono guadagnate «per via».

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