Veleni e codicilli
Politica a 5 stelle

Le convulsioni che agitano il Movimento Cinquestelle stanno per avere un esito di tipo disciplinare. Nel senso che d’ora in poi ci saranno tre probiviri – parola antica che ricorda i partiti della Prima Repubblica – che, eletti dalla Rete, avranno il compito di cacciare «chi non sta alle regole». Lo ha spiegato Beppe Grillo, al termine della sua visita ai parlamentari del movimento: «Chi non ci sta non è gradito, può andarsene da un’altra parte». A «prendersi un quarto d’ora di pubblicità» per usare le parole piene di sarcasmo usate dal comico-leader nei confronti del sindaco di Parma Pizzarotti dopo l’uscita di quest’ultimo dal movimento.

È tuttavia improbabile che un irrigidimento dei criteri per verificare l’osservanza e la fedeltà alla leadership del movimento possa imbrigliare la crisi politica che i Cinquestelle stanno vivendo: mai la politica si fa irregimentare con i codicilli, e la regola varrà anche per i pentastellati.

Proprio ieri per altro i grillini, insieme a Sinistra Italiana, hanno deciso di spostare la battaglia politica anche nelle aule di tribunale, presentando ricorso al Tar Lazio contro il testo del quesito referendario.

Come spesso accade la crisi di un soggetto politico scoppia nel momento del suo massimo successo. I grillini hanno conquistato alle ultime elezioni amministrative parecchie amministrazioni comunali tra cui addirittura la Capitale e Torino, sbaragliando i candidati avversari e caricandosi di eredità impegnative (nel bene, come sul Po dopo la buona amministrazione dei Fassino e Chiamparino; nel male come a Roma dopo i disastri della destra di Gianni Alemanno e della sinistra di Ignazio Marino). Messi alla prova dell’amministrazione, cartina al tornasole per verificare la loro maturità per assumersi la guida dell’intero Paese, sono venuti a galla subito tutti i limiti di un movimento siffatto che pure si colloca al primo o al secondo posto tra i partiti nazionali, contendendo sui decimali il primato al partito che guida il governo.

E i limiti sono venuti in evidenza non tanto a Torino, dove evidentemente una gestione civica più degna e l’esistenza di una classe dirigente diffusa stanno facendo da paracadute, quanto a Roma dove c’è il disastro più totale e soprattutto un disastro che sta tutti i giorni sotto i riflettori dei media italiani e stranieri.

Di fronte alla prova romana, le correnti in cui si divide il M5S hanno cominciato a litigare furibondamente mettendo in breve a soqquadro prima il cosiddetto «direttorio capitolino» che aveva il compito di affiancare (controllare) il sindaco Virginia Raggi, e poi terremotando il direttorio nazionale, quel gruppo di cinque emergenti tra i quali svettano Luigi Di Maio, candidato premier in pectore, e Alessandro Di Battista, il suo gemello-antagonista. Questo gruppo di dirigenti era nato per sostituire man mano Grillo e Casaleggio nella gestione del movimento, ma è andato velocemente in pezzi anche a causa della scomparsa proprio di Casaleggio, il vero «cervello», l’inventore dei Cinquestelle.

Impietosamente i giornali raccontano ogni giorno le liti, i veleni, le contrapposizioni, le lotte tra i cinque magnifici con il risultato che di fatto sono stati tutti quanti rottamati da un ritorno sulle scene di Grillo e con l’aiuto del figlio di Casaleggio che ha ricevuto in eredità dal padre la cassaforte del M5S, il blog e la fondazione «Rousseau». L’esito finale di questa vicenda è appunto l’istituzione dei probiviri: chi sbaglia fuori, smammare. Difficile non pensare che questo tribunalino si eserciterà ogniqualvolta qualcuno si esprimerà in autonomia. E proprio a Roma tutto questo sta capitando.

A Roma si è ormai capito che il sindaco Raggi risponde più al gruppo di potere che la sostiene – e che ha nella destra romana la propria «casa» – che non allo stesso movimento. La riprova di questo fatto è non solo la provenienza di tutti i collaboratori del sindaco ma anche la difesa a spada tratta dell’assessore alla Nettezza urbana Paola Muraro nonostante tutte le tegole giudiziarie che le stanno cadendo sulla testa. Più Grillo chiede alla Raggi di disfarsi in fretta della Muraro, più lei resiste a proteggere il suo assessore. E nel movimento alcuni la sostengono e altri la combattono, sicché presto – quando le cose verranno alle strette – la giovane Virginia sarà un elemento di divisione che tornerà a spaccare le correnti. E a quel punto che farà Grillo, darà mandato ai probiviri di istruire le pratiche di espulsione? E di chi, di chi sta con la Raggi o di chi la contrasta? Come si vede, pensare di risolvere per via disciplinare la crisi politica di un partito (o movimento che sia) è come illudersi di fermare un’onda con le mani.

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