Ventotene, prove
di regia europea

Nel suggestivo scenario del mare di Ventotene, meraviglia paesaggistica e al tempo stesso simbolo dell’europeismo, anzi sua vera e propria culla già durante il buio della Seconda Guerra Mondiale, tre leader nazionali hanno deciso di mettersi insieme, di trovare una rotta comune, di agire concordemente di fronte alle molteplici emergenze che l’Unione deve affrontare.

Renzi, Merkel, Hollande hanno in qualche modo inaugurato – senza dirlo naturalmente – un vero e proprio direttorio europeo, una cabina di regìa di fronte all’estrema difficoltà di far navigare una nave a ventisette la cui unica capacità unitaria troppo spesso si traduce in una verbosa impotenza, in un rinvio privo di progetto. Italia, Francia e Germania, ora che la Gran Bretagna se ne è andata, in qualche modo sono «costrette» a trovare accordi previ tra di loro per poter dare un indirizzo agli altri ventiquattro Paesi: la riunione di Ventotene è servita proprio a questo, a preparare il consiglio europeo informale di Bratislava del 17 settembre.

Qualcuno di autorevole, quando il «leave» vinse il referendum inglese, quasi tirò un sospiro di sollievo e disse che adesso l’Europa la possiamo costruire davvero: al netto di un certo cinismo che caratterizzava la frase, senza le continue riserve di Londra effettivamente si può fare un po’ di strada in più e questo obiettivamente favorisce l’Italia.

Non a caso Renzi si è fatto sfuggire una frase anche ingenuamente tronfia: «Quando un problema investe la Germania, la Francia, l’Italia, quel problema investe tutta l’Europa». Bene, abbiamo desiderato per decenni di stare in prima fila e ci siamo dovuti contentare di uno strapuntino a fianco dei tedeschi: ora le circostanze ci pongono su quel podio, dobbiamo saper dimostrare di essere in grado di starci, e di starci bene.

Il primo dato politico uscito da Ventotene è dunque questo: tre Paesi leader si mettono a capo di un movimento che porta a maggiore cooperazione europea, non ad una risacca a favore dei nazionalismi: è un segnale forte, sia nei confronti delle opinioni pubbliche interne attraversate da tante tentazioni populistiche e demagogiche, sia verso paesi dell’Unione che di quei populismi fanno sempre di più una linea di governo, e basti pensare al tema dell’immigrazione e dei rifugiati e a come viene vissuto nei Paesi dell’Est, a cominciare dall’Ungheria, dalla Polonia per finire con la vicinissima Austria alle prese con nuove elezioni presidenziali che potrebbero portare un mezzo nazista a capo di una nazione tanto significativa. Rispetto a queste derive, il vertice di Ventotene costituisce una sfida, una promessa di unità e di futuro, quasi una diga verso le ondate che possono distruggere l’Ue. E questo è un secondo elemento politico significativo che potremmo sintetizzar con «Più Europa, non meno Europa», oppure come ha detto Renzi, «L’Europa è la soluzione, non il problema».

Gia, ma poi esistono i problemi concreti. A cominciare dalla crisi economica che non si risolve e il cui dispiegarsi ormai quasi decennale crea continui sintomi di grave disagio sociale. Due dei tre Paesi presenti a Ventotene, la Francia e l’Italia, hanno un dato di crescita del Pil pressoché pari a zero. La Germania è l’unica che cresce, ma non al livello tale da trainare tutti gli altri.

Noi e i francesi chiediamo di poter fare più investimenti pubblici e quindi di poter sforare i tetti del deficit consentiti. Bisogna convincere la Germania, non tanto la Merkel quanto il suo potente ministro delle Finanze Schauble e la Bundesbank oltre naturalmente agli elettori che presto andranno alle urne e sentiranno le sirene di Alternative fur Deutschland, il partito lepenista tedesco.

La Merkel, nelle dichiarazioni congiunte, è apparsa disposta al dialogo parlando di molte possibilità di flessibilità presenti nel Patto di Stabilità aggiungendo che occorre che la Francia e l’Italia tornino a crescere e lanciando un riconoscimento a Renzi e alle riforme fatte dal suo governo («pietre miliari»).

Sotto il profilo della sicurezza, dell’immigrazione, della lotta al terrorismo i termini concreti ci sono apparsi invece più sfumati e meno netti di quelli sull’economia. L’idea di una «difesa costiera comune» non è poi un grande passo avanti; meglio piuttosto la sottolineatura, da parte della cancelliera tedesca, della necessità di una maggiore collaborazione tra i servizi di sicurezza nazionali, oggi assai restii a scambiarsi le informazioni

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