Ecco il mafioso
della porta accanto

Una voragine si è aperta sotto il Campidoglio e sta trascinando nelle sue viscere politici e burocrati, non importa se di destra o di sinistra: il colore poco conta, nei fatti sono tutti uguali. Nel senso che tutti, da una parte o dall’altra, avevano un solo scopo: fare soldi a spese dei cittadini e delle loro tasse. Peggio: avevano scelto di arricchirsi mettendosi al servizio di fior di delinquenti, uno in particolare: quel Massimo Carminati detto «Er Guercio» per via di una ferita all’occhio procuratagli da un carabiniere quando era un terrorista dei Nar legato alla micidiale e misteriosa Banda della Magliana.

Carminati e la sua corte di malavitosi si erano giovati della carriera dell’ex camerata Gianni Alemanno diventato nel frattempo sindaco di Roma. Gli appalti milionari sono venuti uno dopo l’altro e, ironia della sorte, i più lucrosi erano quelli per l’assistenza agli extracomunitari, non a caso mai tanto numerosi. Caduto Alemanno, Carminati e i suoi hanno semplicemente rinsaldato i rapporti con alcuni pezzi di quella sinistra che a Roma comanda da sempre.

Non stupisce dunque che la Capitale tanto affoga nei debiti – i miliardi che lo Stato via via ripiana - tanto è incapace di far fronte alle necessità minime di una città degna di questo nome: sporca, degradata, percorsa da bande di teppisti, mendicanti, clandestini, tifosi violenti; una città dove gli eterni lavori per la metropolitana sono i più costosi del mondo e dove è capitato che i killer ammazzassero in pieno centro loro rivali o disgraziati ricercati dagli strozzini, chissà. Dove le zone commerciali sono spartite: qui i «calabresi», là i «napoletani» e in tantissimi pagano il pizzo. La crisi economica ha aggravato poi tutto, per esempio ingigantendo il fenomeno dell’usura.

C’è voluto Giuseppe Pignatone, l’uomo che prima di diventare procuratore a Roma ha passato la vita a combattere la mafia, per trasformare le inchieste giornalistiche - che pure erano state scritte su Carminati e soci - in indagini giudiziarie e poi in accuse e arresti per associazione a delinquere di stampo mafioso. Che la mafia comandi a Roma, la Capitale della Repubblica, adesso ce lo dicono brutalmente le manette dei carabinieri. E viene in mente quel vecchio titolo de «L’Espresso» degli Anni ’50: «Capitale corrotta, nazione infetta».

I mafiosi da arrestare «non sono finiti» avverte il magistrato facendo tremare parecchia gente nella Roma del potere, di vecchia e soprattutto nuova ricchezza, di media e alta distinzione sociale, quella che prende casa nei quartieri a Nord: Parioli, Vigna Clara, Fleming, e può pagarsi le quote dei blasonati circoli sul Tevere dove si fanno e si disfano le alleanze che contano, dove resiste un elettorato «nero» molto forte e dove appunto Carminati aveva il proprio quartier generale.

La presenza della banda «fascio-mafiosa» nei quartieri di Roma Nord dimostra che la corruzione si è impastata con una parte della borghesia cittadina che, attenzione, rappresenta contemporaneamente una parte considerevole della classe dirigente, burocratica, istituzionale del Paese, dove sempre una mano lava l’altra. Non sappiamo dove arriverà questa inchiesta: sappiamo però dove il male alligna da tanti anni, troppi. E pensate che cosa significherebbe se un giorno il prefetto decidesse di avviare la procedura per lo scioglimento «per mafia» del Consiglio comunale di Roma: lo scandalo sarebbe mondiale ed enorme la ricaduta negativa per l’Italia la cui immagine internazionale ha già pagato alti prezzi con gli arresti per l’Expo e il Mose. Ma d’altra parte: non c’è una graduatoria che ci ha incoronato «Paese più corrotto d’Europa» e uno dei più corrotti

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