Vicini ai greci
Popolo che resiste

Li abbiamo trattati da pelandroni, criticando le loro pensioni facili e i modesti orari di lavoro, e da dissipatori, pensando alle spese folli per le Olimpiadi del 2004, che aprirono nei conti dello Stato una voragine da 20 miliardi di euro che la finanza pubblica non riuscì più a colmare. E pure da falsari visto che nel 2009 il premier George Papandreu dovette ammettere che i bilanci dello Stato erano stati ritoccati, per meglio dire falsati, ai controlli delle autorità europee. Prima o poi, però, dovremo anche riconoscere le straordinarie doti di resistenza della Grecia e del suo popolo.

Avranno anche vissuto oltre i propri mezzi, ma questo Paese e questa gente hanno pagato a ripagato tutto con carissimi interessi, raccogliendo nella vecchia Europa, così debitrice nei confronti della cultura greca, solo briciole di compassione.

Lo si vede anche in queste ore, mentre gli incendi nelle pinete intorno ad Atene mietono decine, forse centinaia di vittime. Gli aiuti arrivano con molta moderazione (al momento in cui scriviamo, due Canadair dalla Spagna, 60 pompieri da Cipro, altro personale e materiale dalla Bulgaria), di certo in misura inferiore a quelli offerti alla Svezia (otto Paesi mobilitati, Spagna, Francia, Germania, Italia, Portogallo, Lituania, Danimarca, Polonia, e Austria, 7 Canadair, 7 elicotteri e 340 pompieri con 60 veicoli), a sua volta colpita dai roghi fin nella zona artica.

Tutto questo in un Paese che solo nel giugno scorso le autorità della Ue avevano dichiarato «guarito» dalla malattia del debito e che, in realtà, era stato martoriato soprattutto dalla cura da cavallo decisa dagli altri partner europei, in primo luogo dalla Germania, che voleva così proteggere i prestiti a suo tempo concessi dalle sue banche. Una cura discutibile e che comunque in otto anni ha tagliato il reddito disponibile di quasi il 30%, falciato le pensioni, aumentato le tasse, portato la disoccupazione al 25% (quella giovanile al 45%), spinto oltre il 20% della popolazione sotto la soglia della povertà.

In tutto questo, la Grecia ha gestito con ammirevole compostezza, pur non avendo le risorse necessarie, la crisi dei migranti del 2015, quando superò per arrivi ogni altro Paese di approdo (Italia compresa), marciando in certi periodi al ritmo di 10 mila persone sbarcate al giorno. E poiché la parola «migranti» sempre più spesso, ovunque in Europa, fa rima con diffidenza e rifiuto, va riconosciuto ai greci di aver resistito al fascino della destra estrema, al richiamo di partiti come Alba Dorata, non xenofobi ma razzisti, non sovranisti o populisti ma fascisti. In quelle condizioni, con la fame alla porta, non è un merito da poco.

In questi giorni di emergenza e lutto la Grecia rivive altre pagine drammatiche della sua storia. Per esempio, l’agosto del 2007, quando l’estate particolarmente secca e calda favorì lo scoppio di oltre 3 mila incendi che bruciarono migliaia di metri quadrati di foreste e coltivazioni e costarono la vita a 67 persone. Oggi il disastro si ripete nei boschi lungo la costa, punteggiati di località balneari, proprio mentre il settore turistico, vitale per l’economia del Paese, si apprestava a raccogliere i frutti di una ripresa diventata significativa negli ultimi anni. Dal turismo è venuta la spinta maggiore per il risultato più significativo degli ultimi anni in termini di occupazione: nei primi sei mesi di quest’anno, un saldo attivo di 155 mila occupati in più nel conto tra coloro che hanno trovato un lavoro e coloro che l’hanno perso o abbandonato. Questo è il momento di mostrarsi amici della Grecia. Senza se e senza ma, lasciando perdere ogni inutile cautela o avarizia. Se amiamo quell’Europa che non sta a Bruxelles, nei palazzi della Ue, ma nel cuore di ciascuno di noi.

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