Welby e Dj Fabo
Chiesa e rispetto

La stessa risposta, due percezioni opposte. Una Chiesa matrigna, quella di Papa Benedetto XVI, rigida sulle posizioni dottrinali di fronte alla morte di Welby. Una Chiesa materna, quella di Papa Francesco, aperta alla misericordia di fronte alla morte di DJ Fabo. Eppure la risposta è stata la stessa in entrambi i casi. Diametralmente opposta la percezione.

Ho fatto questa riflessione quando ho letto una dichiarazione della signora Mina, vedova di Piergiorgio Welby, che dieci anni fa vide le porte della chiesa di Roma chiudersi alla richiesta di un funerale per il marito: «Io oggi non porto rancori, perché non sarebbe cristiano. Quello di venerdì, per DJ Fabo, non sarà un funerale, ma un’accoglienza dentro la chiesa e credo che molto ha a che fare con Papa Francesco che è riuscito con l’Anno della Misericordia a cambiare un po’ la mentalità».

«Non sarà un funerale», appunto. Come non lo è stato per Welby. Un «no», quello della Chiesa, che è un delicato gesto di rispetto della libertà del sofferente e della dignità del defunto. Quando una persona – come Welby e come DJ Fabo – dichiara pubblicamente la sua convinzione e giustamente la difende, quando una persona coscientemente davanti a milioni di italiani attraverso i mezzi di comunicazione si proclama atea e non d’accordo con i principi della Chiesa, la comunità cristiana – proprio per rispetto di questa idea personale – come può fargli il funerale? Il «no» al funerale è quindi la più delicata forma di rispetto delle idee di Welby e DJ Fabo. Mi viene in mente una frase attribuita a Voltaire: «Disapprovo quello che dici, ma difenderò con forza il tuo diritto a dirlo». E quindi anche le conseguenze della tua scelta, nella responsabilità della coerenza. Diritti e doveri sono due facce della stessa medaglia: il diritto di esprimere un proprio pensiero è strettamente legato al dovere dell’assunzione di responsabilità che ne deriva.

Nel momento in cui però, alcune persone vicine al defunto, da credenti, vogliono pregare per lui, allora c’è per tutti la possibilità della preghiera di suffragio. Che non è il funerale. Non porto in Chiesa quel defunto che non sarebbe voluto entrare, ma metto davanti a Dio il cuore con i ricordi che esso contiene: il bene vissuto, l’amore condiviso, la sofferenza densa di valore. Questa memoria la pongo sull’altare perché Dio conosce il cuore dell’uomo non per quello che viene gridato nei telegiornali, ma per ciò che viene sussurrato tra lacrime segrete.

Questa è la medesima risposta data dalla Chiesa per Welby e per DJ Fabo. Ad ambedue con un «no al funerale» si è donato il rispetto delle idee e delle convinzioni. Per ambedue c’è stata la possibilità della preghiera di suffragio – perché a nessuno si può impedire – ma questa è qualcosa che nasce dalla sensibilità religiosa di chi è accanto alle singole persone. Così si rispetta il defunto, ma si accoglie il dono di coloro che, invece di un fiore, scelgono di donare una preghiera.

Fa riflettere come la stessa risposta della Chiesa data a situazioni similari, abbia invece avuto due percezioni opposte. Fa riflettere come la scelta di persone vicine al dramma umano e quindi cristiano di una persona si proietti con stereotipi preconfezionati sull’immagine di un Papa o dell’altro. L’opinione ha prevalso sulla verità. Il social ha prevalso sull’intenzione. Nel Vangelo di Giovanni Gesù dice: «La verità vi farà liberi». Liberi anche dalla preoccupazione di un’apparenza di Chiesa matrigna o madre, liberi soprattutto grazie alla serena convinzione che comunque è impossibile portare la fiaccola della verità in mezzo alla folla senza bruciare qua e là qualche parrucca.

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