A quando il «SalvaPompei»?

di Giorgio Gandola

Ormai siamo oltre l’emergenza, siamo alla contabilità. Ciò accade quando tutto è stato detto e nulla è stato fatto. Accade nel bel mezzo dello sconforto e del disinteresse, quando conta la cronaca e non ha più senso la storia.

Regione V, insula 2, civico 19: è crollato tutto. Non c’è quartiere a Pompei che si salvi dallo sfarinamento progressivo. Prima si allagano, poi si sfaldano, poi tornano pietre e rotolano nel silenzio. Dopo la casa dei gladiatori e due botteghe artigiane, ieri un nuovo crollo: un muro di due metri in un’area non scavata di via Nola, apparteneva a una terza bottega.

Ormai siamo oltre l’emergenza, siamo alla contabilità. Ciò accade quando tutto è stato detto e nulla è stato fatto. Accade nel bel mezzo dello sconforto e del disinteresse, quando conta la cronaca e non ha più senso la storia.

Pompei è abbandonata a se stessa e rischia di morire una seconda volta, laddove gli uomini riescono a fare più danni del Vesuvio. Negli ultimi trent’anni non c’è stato ministro della Cultura che non abbia messo Pompei nella lista delle priorità da affrontare e non c’è ministro della Cultura che abbia affrontato questa priorità. Quelle case che crollano, quei muri fradici d’acqua che si lasciano andare sono il paradigma di un Paese che, perdendo il senso del passato, rischia di perdere la bussola per il futuro.

Proprio ieri, poco dopo l’ultimo crollo, è arrivato il richiamo dell’Unesco per bocca del presidente della commissione nazionale Giovanni Puglisi: «Occorre un piano di interventi straordinario che metta in sicurezza l’intera area perché se questi terreni non hanno un drenaggio forte delle acque piovane è chiaro che Pompei è destinata a crollare per intero». Senza contare che un Salvapompei costerebbe un decimo del brutto Salvaroma.

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