Ancora tu

Con il voto di domenica i greci hanno compiuto un gesto radicale, che segna una forte discontinuità con il passato. Hanno sancito la disfatta degli «anti-euro», hanno bocciato gli scissionisti di Syriza che avevano abbandonato il governo dopo il braccio di ferro con Bruxelles, hanno sottolineato l’importanza di rimanere in Europa e di non tornare alla dracma col rischio di impoverirsi anche di più.

Con grande senso di responsabilità hanno deciso di sottoporsi a sacrifici strutturali come è accaduto nel resto dell’Europa in difficoltà (Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Francia no ma ci stiamo arrivando) e quindi di voltare le spalle alle facili promesse che Alexis Tsipras aveva loro ammannito pochi mesi fa. Hanno capito che le gesta dell’ex ministro dell’Economia Varoufakis erano velleitarie, addirittura controproducenti. E che il tifo degli antieuropeisti era una manifestazione ideologica, senza sbocco, solidarietà in cachemire senza rischio alcuno.

I greci - o il 55% che è andato a votare e che ha ancora a cuore le sorti pubbliche del Paese - hanno detto chiaro e forte che la svolta non può attendere e che un governo di unità nazionale dovrebbe essere l’ideale per portare il Paese martoriato fuori dal tunnel economico con pesanti ricadute sul fronte sociale.

Con questo voto, che ha premiato una sinistra più riformista e la costringe a governare con la destra dentro un patto che potremmo definire del Nazareno, i greci si sono buttati alle spalle il passato, la brigata kalispera, il fattore oki (no) al potere. Insomma tutto ciò che da noi regala fremiti e nostalgie a gauche. Per realizzare tutto questo hanno rivotato Tsipras, che nel frattempo ha cambiato nome. Adesso si chiama Matteo.

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