Battisti
a braccia aperte

Il mio canto libero valeva per un altro Battisti. Per il terrorista rifugiatosi in Brasile e da qualche giorno sulle spine (quel Paese non gli rinnoverà il permesso di soggiorno) il diritto all’oblio non sembra percorribile per un semplice motivo: non c’è ancora stato il percorso di espiazione attraverso la pena.

Questo per prendere le distanze da alcuni commenti che arrivano dall’estrema sinistra: «L’ex detenuto diventato scrittore di successo è un’ossessione italiana», «Battisti ha pagato i suoi crimini con una vita spesa a fuggire» e via giustificando. In realtà Cesare Battisti non ha pagato nulla, ha semplicemente approfittato della «dottrina Mitterrand» per fuggire in Francia e provare a farsi dimenticare come latitante a Parigi (rive gauche, démi monde letterario, c’è di peggio nella vita) pur avendo sulle spalle quattro condanne per altrettanti omicidi durante gli anni di piombo.

Quando la Francia ha cominciato a rivedere la sua posizione, Battisti ha deciso di prendere il volo da Parigi ed è andato ad espiare a Rio de Janeiro dove si sa che il bagno penale denominato Copacabana è particolarmente duro. Il Brasile gli ha dato asilo per motivi «politici e umanitari», e il presidente Lula vietò l’estradizione verso l’Italia, nazione (nel 2011) notoriamente fascista. Battisti ha un ergastolo da scontare e i famigliari delle vittime - il maresciallo Santoro, il gioielliere Torregiani, il macellaio Sabbadin e l’agente della Digos Campagna - non hanno mai ricevuto un cenno di scuse o ravvedimento. Anche per rispetto di chi ha pagato i conti, la Giustizia italiana fa bene ad aspettarlo a braccia aperte.

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