Carrozzoni

di Giorgio Gandola
Il luogo comune preferito da ogni governo è questo: l’Italia ha il suo giacimento di petrolio nel turismo. Basta estrarlo bene. Una frase sentita mille volte e per lunghi anni, durante i quali il nostro paese è passato dal primo posto come meta turistica mondiale al quinto.

Il luogo comune preferito da ogni governo è questo: l’Italia ha il suo giacimento di petrolio nel turismo. Basta estrarlo bene. Una frase sentita mille volte e per lunghi anni, durante i quali il nostro paese è passato dal primo posto come meta turistica mondiale al quinto, superato anche dalla Francia, seppur con qualche artificio contabile chic. In compenso, a fronte di un tesoro mal sfruttato ce n’è un altro sfruttato fin troppo bene e si chiama Enit, l’agenzia nazionale del turismo creata nel 2004 dal governo Berlusconi e presto trasformatasi in un carrozzone mangiasoldi di prima categoria.

Oggi l’Enit promuove ben poco e costa molto, a tal punto da essere stato commissariato nel giugno scorso dal premier Renzi. Ogni anno riceve un finanziamento di 18 milioni di euro, 12 dei quali sono impiegati solo per pagare il personale. Il direttore Andrea Babbi, collezionista di incarichi fra consorzi, banche e associazioni, percepiva 180 mila euro e la media degli altri dirigenti superava i 105 mila. Dicevamo dei 18 milioni, assolutamente insufficienti per coprire spese che nulla hanno a che vedere con la spending review. Le uscite del 2013, per fare un esempio, sono state di 26 milioni attinti dai forzieri del ministero del Tesoro. A pesare sulla gestione dell’ente non sono le idee (poche) ma le numerose sedi estere: Madrid, Toronto, Londra, Los Angeles. Il costo della sede inglese è di 410 mila euro, 203 mila quella di New York. Così l’Enit vince la sua partita nel lusso mentre l’Italia perde la sfida decisiva del turismo. Urge rottamazione.

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