Casson e la macumba

Casson ha fatto il casseur ed è riuscito nell’impresa di rompere il centrosinistra a Venezia dopo 22 anni di governo. I lagunari sono gente pratica e galleggiano da una vita.

Non navigando in buone acque, hanno comunque deciso di affidarsi a un imprenditore esuberante (noto anche per le sudamericane scene di giubilo al palazzetto del basket) piuttosto che a un servitore dello Stato in aspettativa da dieci anni. Ecco perché, oltre che a messer Renzi (anche se il prode perdente è in quota Civati), il segnale dovrebbe dire qualcosa a chi sta con un piede nella giustizia e uno nella politica. I pm in parlamento cominciano a creare diffidenza; ai cittadini è arrivato il messaggio secondo il quale la giustizia politicizzata procura al Paese gli stessi danni della politica fine a se stessa.

Pubblico ministero di lungo corso, Casson cominciò la carriera con un indimenticato epiteto di Indro Montanelli finito per questo a processo («Casson, con rispetto parlando»). Politicamente schierato a sinistra, in città ha un certo seguito, ma è perseguitato dall’incubo dei ballottaggi. Nel senso che - dopo aver dominato il primo turno - li perde regolarmente.

Accadde così anche nel 2005, quella volta a favore di Cacciari. In questa tornata il povero Casson è stato protagonista di un pasticcio e vittima di una macumba. Il pasticcio per gli assessori disomogenei: è difficile farsi rappresentare a sinistra da una triade come l’ex leghista Daverio, il liberista Giavazzi e Rosso, mister Diesel. La macumba involontaria riguarda la testimonial: ha subìto il sostegno di Maria Elena Boschi, salita a sponsorizzarlo come aveva fatto con la Paita e la Moretti. Micidiale.

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