C’era una volta
la Grecia

C’era una volta la Grecia. Era un Paese in bilico fra l’Europa e il Grande Vuoto, stava sull’orlo del baratro e non aveva i fondi sufficienti per pagare stipendi al pubblico impiego e pensioni a tutti. La sua crisi infinita riempiva le pagine dei giornali e i servizi dei Tg; l’immagine del pensionato in lacrime a Salonicco davanti al bancomat blindato faceva il giro del mondo.

Tutto era nato da una menzogna e da un’impuntatura. La menzogna del governo greco che era entrato in Europa truccando i conti e l’impuntatura dei rigoristi tedeschi che invece di salvare un Paese fondatore dell’Occidente democratico (il suo debito rappresentava l’1,5% del pil europeo), avevano deciso di metterlo sulla graticola, finendo solo per metterlo in ginocchio. Il premier di sinistra Tsipras organizzava referendum sull’euro e inviava a Bruxelles il pittoresco ministro dell’Economia Varoufakis a trattare il taglio di un debito che con l’Italia era (e resta) di circa 40 miliardi.

L’Europa si schierava. Da una parte i fautori del: chi rompe paga. Dall’altra i tifosi della piccola Grecia che diceva «oki» (no) in faccia al potere dei contabili di Bruxelles e di Berlino, guidati dal falco supremo, il ministro delle Finanze tedesco Schauble. La notte del referendum, in piazza Syntagma erano sfilati Salvini, Grillo, Fassina, Civati , i Podemos assortiti; insomma tutto l’antieuropeismo in colonna. Sembrava che l’Europa avesse i giorni contati. Sono passati due mesi e mezzo, la Grecia ha negoziato il pagamento di un paio di scadenze, il debito è lo stesso di prima, ad Atene i poveri restano poveri, Tsipras è finito in minoranza e domani per l’ennesima volta si vota. Però non interessa a nessuno.

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