Chiuso per tasse

«Chiuso per troppe tasse». Il cartello campeggia all’ingresso del ristorante-pizzeria Abarossa di Santa Giulia, Oristano, mare a perdita d’occhio. E la scritta è completata da tre punti esclamativi, come a dire: non ne potevamo più.

Non è il primo e non sarà l’ultimo locale ad abbassare la serranda, ma agli albori di questo 2015 è bene ricordarsi e ricordare che le attività produttive e commerciali continuano a soffrire e addirittura a morire per un motivo ben noto: lo strangolamento fiscale dei cittadini. «Non era più possibile andare avanti - spiega Paola Orrù, la figlia del titolare - con i clienti che continuavano a diminuire e le tasse che invece restavano le stesse o addirittura aumentavano. Per esempio, la tassa dei rifiuti è salita da 1.100 a 5.700 euro all’anno proprio mentre crollava la quantità dei rifiuti prodotti da un esercizio commerciale in crisi».

Così proprio lei ha convinto il papà a chiudere bottega e a specificare chiaramente il motivo. «Quel cartello l’ho voluto mettere io, è un invito a riflettere su un momento storico che ci riporta a un regime quasi di schiavitù».

Una resa incondizionata e riguarda tutti. È di ieri la notizia (confermatissima dall’esperienza dei contribuenti) che un italiano deve lavorare 175 giorni l’anno per pagare le tasse statali, comunali, applicate ai prodotti, accise, per non parlare di multe, balzelli estemporanei, ticket, ed altre amenità inventate nel corso degli anni da chi amministra il Paese. In attesa della foresta che cresce il massimo cordoglio per gli alberi che cadono senza punti esclamativi.

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