Crocifissi

A caval donato non si guarda in bocca, ma l’espressione del Papa nel ricevere il crocifisso di Evo Morales ricavato dalla falce e martello era davvero curiosa. Qualcosa a mezza strada fra il perplesso e il condiscendente.

Il sopracciglio alzato, lo sguardo col punto interrogativo come a dire: guarda cosa s’è inventato questo. Effettivamente, l’eccentrico presidente boliviano, il cadeau se l’è inventato fuori dagli schemi e dalla storia. Nel suo approccio culturale latinoamericano, il campione del postmarxismo pauperista ha inteso compiere un’ardita crasi, legando i due simboli per sintetizzare il lungo e controverso cammino della teologia della liberazione.

Come sempre in questi casi il problema è la cattiva memoria, perché su quel crocifisso (quale che sia il piedistallo) noi continuiamo a vedere - nella sofferenza e nella luce - i volti dei tanti missionari uccisi dai terroristi di ogni genere, anche comunisti. Una vicenda su tutte, a noi molto vicina: l’assassinio del bergamasco don Alessandro Dordi da parte dei maoisti di Sendero Luminoso, un martire della fede che proprio Francesco innalzerà a beato entro l’anno.

Ricordiamo un giorno a Mosca con un cicerone d’eccezione, Nicola Teti, editore del Calendario del Popolo, che negli anni del comunismo brezneviano entrava alla Duma e al Comitato centrale. Nella sua generosità turistica, a un certo punto indica un fabbricato e dice: «Qui c’era una chiesa, non serviva ed è stata rasa al suolo per costruirci una piscina». Il cronista indignato: «Impedire il culto a un popolo profondamente cristiano è un segno di barbarie». E lui placido replica con un pizzico di salvifica ironia: «Sì, ma non immagini quanti bambini hanno imparato a nuotare». Silenzio allora, silenzio adesso. Lo stesso del Papa.

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