Dolce Francia

Come si fa a governare una nazione che ha 256 tipi di formaggio? Se lo chiedeva Charles De Gaulle e non sappiamo che risposta si sia dato.

Un Paese così, non si sa se sia arduo governarlo, ma è certamente affascinante visitarlo. Classifica mondiale del turismo secondo le Nazioni unite per il 2014: prima Francia con 84 milioni di turisti, secondi Stati Uniti con 69 milioni, terza Spagna con 61, quarta Cina con 55, quinta Italia con 47. Fino agli anni Novanta eravamo in testa noi. Ma la cosa più sconvolgente è che i francesi, dopo questo trionfo, non sembrano soddisfatti e già programmano l’obiettivo supremo: cento milioni di turisti entro il 2020.

Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Laurent Fabius che ha illustrato la creazione di un fondo da «centinaia di milioni di euro da investire nel settore per consolidare l’attrattiva e migliorare dove non siamo bravi, vale a dire in certe strutture non all’altezza, e nell’accoglienza dove non si può dire che siamo straordinari». Il riferimento al birignao e alla supponenza non è neppure mascherato. quel nasino all’insù talvolta non è un vantaggio.

E l’Italia? Niente. Nessuna programmazione, nessuna volontà di riscatto. Stiamo fermi, ci crogioliamo su antichi allori appassiti e aspettiamo che il turista si avvicini per essere debitamente pelato. Musei chiusi, siti archeologici in via di disfacimento, enti di promozione trasformati in mangifici, gelosie organizzative e nessuna strategia politica. Pronti per essere sorpassati dalla Turchia. I francesi sono definiti dagli anglosassoni: «Italiani che si sono alzati con la luna storta». Almeno loro si sono alzati, mentre noi continuiamo a russare.

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