Famiglia

Lo chiamano welfare aziendale, ma è molto di più. È qualcosa che ha a che vedere con il cuore. Un dipendente della Ferrero di Alba (Nutella, Kinder e dintorni) è morto, portato via da un tumore devastante, e ha lasciato due figli di 17 e 19 anni.

Ebbene, l’azienda ha deciso di versare ancora per tre anni lo stipendio a quella famiglia. E se i ragazzi vorranno proseguire negli studi, la Ferrero li sosterrà pagando le rette fino a quando avranno compiuto i 26 anni. Di fronte a tutto questo c’è chi parla di accordo previsto dal contratto integrativo, ma significa banalizzare una storia, una dinastia, un modo di essere. Prima di morire a 89 anni nel febbraio dell’anno scorso, Michele Ferrero visse con un motto in testa e nelle opere: «Lavorare, creare, donare». Fu imprenditore cattolico nel senso più profondo del termine, portò nel mondo un esempio ancora poco imitato, le imprese sociali, nelle aree più disperate del pianeta (India, Sudafrica, Camerun) con l’impegno di creare profitti da destinare alla salute e all’istruzione dei bambini di laggiù.

Vent’anni fa durante l’alluvione del Piemonte - regione sott’acqua, 70 morti -, in quella parte dura di Langa definita da Beppe Fenoglio «la malora», mi capitò di arrivare ad Alba e di scorgere in un grande parcheggio fuori dalla Ferrero semidistrutta dal Tanaro una montagna marrone maleodorante: era cioccolato andato a male. Macchinari distrutti, fabbrica in ginocchio. Chiesi di poter intervistare il proprietario, ma un addetto con gli stivali verdi di gomma e l’impermeabile, gentile e irremovibile, mi rispose: «Adesso non può, sta spalando fango con gli altri mille, scriva che vogliamo ripartire dopodomani». Ecco da dove arriva quel welfare aziendale. Ecco cosa significa, anche sul lavoro, la parola famiglia.

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