Gita scolastica

Rispetto per Elia. È il primo pensiero che ci sovviene davanti al corpo immobile di un ragazzo di 17 anni precipitato dopo un malore dal sesto piano di un albergo di Milano durante una gita scolastica finalizzata alla visita di Expo. Basterebbe sostituire il suo nome con quello di Domenico e ci troveremmo a commentare una vicenda identica nelle modalità avvenuta nel maggio scorso.

Rispetto per Elia, ma subito dopo arriva la domanda: hanno ancora senso le gite scolastiche per come sono organizzate e percepite dai ragazzi (pura gazzarra) al giorno d’oggi?

I presidi le eviterebbero volentieri, gli insegnanti tendono a defilarsi e se accettano sono costretti a svolgere gratis per 15 ore al giorno un ruolo più da sergenti di ferro che da educatori. Gli unici ad essere felici sono i ragazzi, ma la sensazione (parola di testimone con due figli) è che una buona parte ne colga soprattutto il lato ludico e non partecipi solo per vedere la Torre di Pisa o la Mole Antonelliana, ma per saltare tre giorni di scuola e per divertirsi in quello che ritiene essere un limbo extraterritoriale dell’esistenza. La cosa avveniva anche i nostri tempi, per carità. Ma poiché avevamo un po’ più di paura dei due in condotta tiravamo il freno sugli eccessi tipo fumo e alcool.

Oggi, quando non si tratta di cronaca nera, si finisce per leggere di bar svaligiati e di supermercati svuotati da bulli in trasferta. Non che una tragedia debba far azzerare una consuetudine di 50 anni, ma ripensare il contenuto di questi «viaggi d’istruzione» è il minimo. Dei miei ne ricordo uno solo di notevole valore culturale, a Spiazzi di Gromo. Imparai a sciare.

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