Il grano e la grana

«La delibera non passerà», ha detto il ministro Maurizio Martina, ponendosi sulla linea del Piave come i famosi fanti dopo Caporetto. Cento anni dopo la prima guerra mondiale si combatte la sacrosanta guerra alla casta e le trappole sono dietro ogni carta bollata.

La delibera in questione è quella del consiglio d’amministrazione del Cra, il più grande ente italiano di studio nell’agricoltura, che in barba ad ogni revisione di spesa (evidentemente la percezione della crisi è del tutto personale) ha deciso di aumentarsi lo stipendio per giustificare maggiori carichi di lavoro.

Il presidente Giuseppe Alonzo si è attribuito 206.000 euro l’anno, i tre consiglieri 44.000 euro l’anno, il presidente del collegio dei revisori 39.000 euro, i quattro componenti 32.000 euro a testa. Un colpo di vita al quale vanno aggiunti i gettoni di presenza.

L’autoaumento di un ente finito nel raggio d’azione delle forbici dai tempi di Monti è passato inosservato perché inoltrato senza nome, senza titolo, semplicemente protocollato con un numero per non dare troppo nell’occhio. Qualche delibera più tardi è arrivato anche l’aumento dello stipendio del direttore generale (della serie, e io chi sono?): 277.000 euro, un’enormità, rispetto ai precedenti 97.000. Con un problema, la cifra superava il tetto imposto da Renzi ai funzionari pubblici.

Il Cra ha riparato all’errore abbassando l’importo sotto la soglia dei 240.000 euro: 239.950. Denari come bruscolini a spese del contribuente, impossibilità di controllare falle che si aprono da ogni parte. Giù il cappello davanti al ministro, ma solo se non firma.

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