La barca è piena

I migranti poveri in fondo al mare, i migranti ricchi sul vecchio yacht. Morire costa tremila euro, arrivare a destinazione ottomila circa.

Il racket dei negrieri del terzo millennio funziona alla perfezione, e quando qualcosa va storto si abbandona la nave al suo destino tra i flutti. Niente è cambiato rispetto ai mercanti di schiavi che dall’Africa risalivano l’Atlantico, facevano tappa a Bahia e ripartivano per l’America del Nord. «Pur di farceli stare tutti li costringo a dormire in piedi», spiega uno scafista in un’intercettazione. «Dieci colpi di frusta per costringere i parenti a pagare di più», aggiunge un altro gentiluomo impegnato in un business vero, che produce milioni di euro e che nessuno (né Europa, né intelligence, né polizie) pensa minimamente di contrastare.

I negrieri si somigliano tutti. Vent’anni fa l’emergenza era in Puglia, fra Otranto e Lecce, destinazione degli albanesi in fuga dalla guerra e attratti dall’eldorado occidentale captato con le parabole televisive. Partivano da Durazzo e da Valona sui gommoni, attraversavano in cerca di fortuna, qualcuno moriva, qualche altro si gettava a nuoto alla sola vista delle coste italiane. Il problema non si risolse sulle spiagge pugliesi, ma nei porti di partenza. Furono affondati i barconi, furono arrestati gli scafisti, fu finanziata e istruita la polizia albanese affinché si dedicasse alla prevenzione.

La storia non può non insegnare nulla e costringere un intero continente a ripartire da zero ogni mattina. Fermare gli scafisti, trattarli come l’Isis, significa avere a cuore il destino dei migranti e anche quello dei nostri figli. Qui, la barca è piena.

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