La cura Bonimba

«Se avessero fatto l’errore di invadere il campo o di entrare negli spogliatoi mentre c’eravamo Gigi Riva ed io non sarebbero usciti sani». Parole e musica di Roberto Boninsegna detto Bonimba, che all’Inter concludeva gli allenamenti contendendo il pallone a un cane lupo.

E alla Juventus, al terzo scatto inutile con quel mangiapalloni di Marocchino, prese il compagno per la collottola e gli sibilò la frase: «Amico, stessa maglia!». Avremmo proprio voluto vederli, gli ultrà del Cagliari, davanti a Riva e Boninsegna, Niccolai o Cera. E gli ultrà della Roma davanti a Falcao, a Di Bartolomei o a Voeller. E i Drughi bianconeri a minacciare eventualmente Furino o Montero o monsieur Platini.

Questione di huevos, diciamo di carattere, che nei calciatori di oggi non è la caratteristica più evidente. Per questo il calcio sta sempre più scivolando nelle mani dei tifosi di professione, che in cambio di passione e sostegno ricevono dalle società biglietti, sovvenzioni, coccole, la licenza di commettere violenze nelle città e il lasciapassare per trasformarsi in guardiani della rivoluzione quando le cose non vanno come dovrebbero. Il presidente americano della Roma, James Pallotta, arrivava dalla luna e ha impiegato un anno per capire come funzionano le cose nel nostro cortile. Infatti la curva sud lo detesta. Continua a girare felicemente su Youtube lo show del Bocia contro i giocatori dell’Atalanta. Lui tosto, loro imbarazzanti. Tutti a capo chino, Reja compreso. Chissà se Stromberg, Caniggia o Sonetti sarebbero rimasti a lungo in quella posizione

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