La guerra del signor Cocuzza

Carmelo Cocuzza contro gli Stati Uniti d’America. Una sfida non proprio pari, ma oggi il vetrinista siciliano potrebbe vincerla. E ad aggiungere pathos è il luogo dello scontro, la base militare di Sigonella da dove partono i Predator senza pilota per la Libia.

E dove l’11 ottobre 1985 si consumò l’ultimo incidente diplomatico fra Italia e Stati Uniti: allora Craxi fece schierare i carabinieri contro i marines inviati da Reagan a prelevare il terrorista palestinese Abu Abbas, mandante del dirottamento della Achille Lauro. Ora la faccenda è meno cruenta, non meno frontale. Da sedici anni Carmelo Cocuzza attende questo giorno, vale a dire dalla mattina in cui fu licenziato con una collega americana per «avere contraffatto i cartellini di entrata e di uscita dal posto di lavoro». La signora venne reintegrata nella base dopo un mese, lui no. Sedici anni di ricorsi, di burocrazia giudiziaria, anche di indomita testardaggine perché con un simile rivale davanti sarebbero stati in molti ad arrendersi. Lui ha sempre sostenuto la propria innocenza e tre giudici italiani (l’ultimo quello di Cassazione) gli hanno dato ragione. Con un duplice effetto: reintegro e risarcimento degli stipendi persi quantificabile in un milione di euro. Gli americani, che di tutto ciò s’erano sempre fatti un baffo come da tradizione, qualche giorno fa si sono visti arrivare davanti a Sigonella il Cocuzza accompagnato dal legale, dall’ufficiale giudiziario e dai carabinieri con il compito di far rispettare la sentenza di un tribunale italiano in territorio italiano. Obiettivo: pignoramento con minaccia di sigilli ad alcuni beni. Scena surreale, allarme Delta e promessa dei vertici americani di chiudere la spiacevole vicenda proprio oggi. Meglio transare che vedersi portare via un drone bombardiere.

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