La mela morsicata

Era marketing. C’era da sospettarlo, visto che difficilmente i grandi player della new economy dicono o fanno qualcosa senza un secondo fine.

Comunque la guerra per la privacy tra Apple ed Fbi - che ha visto al centro la possibilità o meno di sbloccare un iPhone per un’indagine di terrorismo - era un braccio di ferro da serie Tv. Diciamo House of cards.

La vicenda è nota e ha subito assunto le fattezze di una disfida ideale fra il bene e il male. Il bene, ovvero la libertà di mantenere segreti i numeri di telefono e le informazioni a tutti i costi, salvaguardata dall’azienda di Cupertino. E il male, rappresentato dalla pretesa dello Stato federale di ficcare il naso nella privacy altrui. Anche se si trattava del telefonino di un terrorista che aveva ucciso 14 persone con la compagna, al grido di «Allah u akbar». Situazione delicatissima perché nelle ultime telefonate del terrorista islamico c’erano i numeri di chi aveva frequentato, di chi gli aveva dato copertura, di chi in teoria avrebbe organizzato l’assalto alla casa per disabili.

La Apple si è sempre rifiutata di sbloccare l’iPhone invocando la libertà non di un solo cliente, ma di tutti. E ha accusato l’Fbi di aver tentato di forzare la situazione cambiando la password , quindi compromettendo irrimediabilmente tutto. Un giudice ha ordinato alla società di Tim Cook di mettere a disposizione le informazioni, ma anch’egli ha ricevuto un secco no. Come se l’operazione fosse umanamente impossibile e il mondo fosse più garantito nella propria idea di riservatezza. Così l’Fbi ha dovuto rivolgersi a una società israeliana, che ha preso il telefonino, l’ha acceso e in poco tempo l’ha aperto.

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