La nonna di Renzi

Questa non è una buccia di banana, ma un chilometro di sapone sul quale il governo rischia di scivolare e farsi male.

Stiamo parlando delle pensioni di reversibilità, quegli assegni che dopo la morte del marito (o della moglie) vengono appoggiati sull’altro coniuge nel rispetto di un diritto previdenziale, nel senso che il caro estinto i contributi li aveva versati. Ebbene, in commissione Lavoro alla Camera, venerdì è arrivato un disegno di legge mellifluo e velenoso che - ufficialmente per contrastare la povertà - vorrebbe incidere su queste pensioni, con il rischio di aumentarla (la povertà). La mossa sarebbe semplice: trasformare la prestazione da previdenziale ad assistenziale, quindi sottoporla ai parametri Isee (solitamente molto bassi) così da escludere un buon numero di pensionati dal diritto a percepirla.

L’ideona, smentita goffamente dal ministro Poletti che ha parlato di «razionalizzazioni per evitare sprechi e duplicazioni riguarderanno le prestazioni future», sta scatenando una mezza rivolta in Parlamento e nelle parti sociali. La decisione è effettivamente controversa e fare cassa sulla pelle delle vedove ci sembra tutt’altro che nobile. Anche perché già oggi la pensione di reversibilità ha dei limiti: è pari al 60% del totale se va solo a coniuge, all’80% con un figlio a carico. Se il reddito è superiore a 1500 mensili è tagliata del 25%, se supera i 2500 perde il 50%. Al di là dei numeri indispettisce la filosofia: uno Stato incapace di risparmiare sulla spesa pubblica continua a voler risparmiare sui diritti individuali delle fasce più deboli. Resta la speranza che, comunicandole il progetto, Renzi si prenda un’ombrellata da sua nonna.

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