La testa nella Nuvola

Giorgio Gandola

Ci sentiamo orgogliosi, abbiamo salvato la Nuvola. La frase è caustica, la faccenda è una metafora dell’amore per il futile che pervade un governo immobile, ma anche della predisposizione alla sovvenzione a fondo perduto dello Stato.

Ci sentiamo orgogliosi, abbiamo salvato la Nuvola. La frase è caustica, la faccenda è una metafora dell’amore per il futile che pervade un governo immobile, ma anche della predisposizione alla sovvenzione a fondo perduto che lo Stato continua a mostrare per chi sperpera.

È il caso della Nuvola dell’archistar Massimiliano Fuksas, opera mai finita nel mezzo del quartiere Eur, simbolo del work in progress quasi come la Sagrada familia, palazzo dei congressi in sospensione (da qui l’immagine della nuvola) la cui costruzione è cominciata sei anni fa per un costo preventivato di 225 milioni di euro, che sono saliti in fretta a 400 e hanno messo con le spalle al muro la ditta vincitrice dell’appalto e il Comune di Roma, incapace di reperire nuovi finanziamenti.

Così, dopo l’appello di due sindaci, lo stato di avanzamento ridotto e la figuraccia internazionale in arrivo (la struttura era stata strombazzata come una meraviglia planetaria prima ancora di cominciare), ecco la ciambellona di salvataggio: nelle pieghe della legge di Stabilità, il governo ha prestato 100 milioni alla municipalità di Roma per finire l’opera. Il prestito è trentennale e somiglia ai molti che l’hanno preceduto per tenere in piedi il bilancio della capitale, praticamente a fondo perduto.

Il generoso gesto è uno schiaffo in faccia a tutti quei Comuni virtuosi (grandi e piccoli, ne conosciamo molti nei paraggi) che non solo non hanno un euro in più per le loro opere, ma per via del patto di stabilità non possono neppure usare i loro, di risparmi. C’è una stabilità per tutti e un’altra che sta a Roma. Su una nuvola.

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